«Meglio ridurre gli ospedali», si comincia in Germania

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Da anni i politici e gli economisti si battono con penetranti campagne mediatiche per imporre tagli drastici nel settore ospedaliero. Come? Tanto per cominciare riducendo il numero degli ospedali. La " formula" viene sperimentata in Germania per essere applicata in tutta Europa.

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Uno studio della Fondazione Bertelsmann, che promuove “processi di riforma” e “i principi dell’attività imprenditoriale” per costruire una “società orientata al futuro”, propone di chiudere più di metà di tutte le cliniche in Germania. Meno di 600 degli attuali 1.400 ospedali sarebbero mantenuti in base al piano, secondo il rapporto commissionato dall’Istituto di Ricerca Sanitaria e Sociale di Berlino pubblicato il 15 luglio.

Con la tesi grottesca che solo la chiusura di cliniche potrebbe ottenere maggior personale, attrezzature migliori e una qualità più elevata, il rapporto sollecita anche ulteriori riduzioni delle permanenze in ospedale e una concentrazione ancora maggiore sulla generazione di profitti.

Secondo gli autori dello studio della Fondazione circa cinque milioni di persone l’anno in Germania restano in ospedale senza necessità. Potrebbero altrettanto bene essere curate a livello ambulatoriale, riducendo il numero delle degenze ospedaliere a 14 milioni l’anno.

La riduzione del numero delle cliniche è giustificata dal fatto che “molti ospedali sono troppo piccoli e sono privi delle attrezzature e delle esperienze necessarie per gestire emergenze pericolose per la vita”. Riducendo il numero delle cliniche, affermano gli autori del rapporto, potrebbe essere prevenuta una varietà di complicazioni e morti. Nel futuro l’attenzione sarebbe principalmente concentrata sulla qualità degli ospedali con l’accessibilità non più una principale priorità.

Brigitte Mohn, membro del consiglio di amministrazione della fondazione, finanziata privatamente dal Gruppo Bertelsmann, una delle più grandi società di media di massa del mondo che è anche attiva nel settore dei servizi e dell’istruzione, ha sintetizzato l’obiettivo della “futura assistenza ospedaliera” con un cinismo manifesto: “La riorganizzazione del panorama ospedaliero è una questione di sicurezza dei pazienti e, soprattutto, deve perseguire l’obiettivo di migliorare la qualità dell’assistenza”.

Sull’assistenza ai pazienti la Mohn ha aggiunto: “Se un paziente sotto infarto raggiunge la clinica più vicina dopo 30 minuti ma non trova un medico qualificato adatto e il dipartimento specialistico medicalmente necessario, sarebbe meglio guidare per qualche minuto in più fino a una clinica ben equipaggiata”.

La Mohn fa parte della famiglia proprietaria della Bertelsmann. Sua madre, la matriarca della società Liz Mohn, è una delle donne più ricche del mondo con una fortuna di circa tre miliardi di euro. Brigitte siede anche nel consiglio di supervisione della Rhon-Klinikum AG, un gestore di cliniche private che beneficerebbe dalla chiusura di ospedali comunali. Tra gli altri la Rhon-Klinikum AG gestisce l’Ospedale Universitario di Marburgo e Giessen, dove in precedenza quest’anno centinaia di lavoratori hanno protestato contro i bassi salari e le cattive condizioni di lavoro.

Le conseguenze della riduzione dell’accessibilità delle cliniche sono evidenti. Ci saranno più complicazioni e più morti perché i pazienti non potranno essere curati abbastanza rapidamente. Inoltre ambulanze, medici e paramedici d’emergenza subiranno un considerevole carico aggiuntivo.

L’argomentazione dello studio è estremamente mendace. Come modello è stata scelta la regione Colonia/Leverkusen che è una delle aree più densamente popolate della Germania. Secondo lo studio Bertelsmann 24 ospedali su un totale di 28 dovrebbero essere chiusi in questa regione entro il 2030.

Persino là lo studio stima che dopo le proposte chiusure a circa il 10 per cento dei residenti sarebbero stati necessari più di 30 minuti per raggiungere l’ospedale più vicino.  Secondo lo studio ciò avrebbe potuto essere ridotto a circa il 3 per cento se fosse stato usato un diverso “modello di velocità”. In linguaggio chiaro questo significa che le ambulanze avrebbero dovuto affrontare irrealistici presupposti di velocità più elevata al fine di accrescere l’accessibilità.

Lo studio critica il livello di attrezzature dilapidate negli ospedali. Nel 2017 una clinica su tre non aveva uno scanner per la tomografia computerizzata (CT) e il 61 per cento non aveva alcuno strumento per condurre l’angiografia coronarica. “Spesso mancano sia attrezzatura sia esperienza per affrontare emergenze tipiche, quali attacchi di cuore e infarti”.

Questo non solo dice molto riguardo allo stato delle cliniche della Germania ma è anche un risultato della stessa politica che è proposta dallo studio. L’assistenza sanitaria ha già subito decenni di tagli. Dopo che attrezzature e personale sono caduti vittima, non ci sono più “riserve di razionalizzazione”. Non infrequentemente queste estreme misure di austerità sono state giustificate citando presunti “miglioramenti di qualità ed efficienza”.

Lo studio riceve critiche giustificate da molte parti. Gerald Gass, presidente dell’Associazione degli Ospedali Tedeschi (DKG) l’ha accusato di promulgare “la distruzione dell’infrastruttura sociale su una scala quasi avventurista”. Tali proposte erano l’esatto opposto di ciò che aveva proposto la commissione “Eque condizioni di vita” per le aree rurali.

La DKG contesta la valutazione dello studio, in base alla quale una contrazione delle cliniche e un raggruppamento di medici, personale infermieristico e strumenti medici conseguirebbe una miglior qualità dell’assistenza. Tale valutazione era “assolutamente priva di prove”.

Uwe Lubking, l’esperta di politiche sociali delle Città e Comuni Tedeschi, ha definito “sconvolgente” il rapporto, spiegando che “sarebbe stata più interessato alla regione modello Uckermark o Alpi Sveve”. In molte simili regioni ci sono già penurie di medici locali. “Se gli ospedali chiudono, non rimane nulla del tutto”, ha osservato la Lubking.

Ma lo studio non è solo una pazzia riguardo alla politica sanitaria, con lo scopo di accrescere i profitti medianteOspedali una “riorganizzazione” del panorama ospedaliero; c’è dietro anche un programma politico. La struttura dello stato sociale in Germania va distrutta quanto più possibile al fine di fornire fondi per i poteri e la capacità repressiva dello stato in patria e all’estero. Per anni politici ed economisti hanno fatto rullare il tamburo per tagli drastici al settore ospedaliero, che oggi possono essere realizzati solo mediante chiusure.

Già alla fine del 2018 il capo dell’assicurazione sanitaria AOK, Martin Litsch, ha annunciato che un quarto degli ospedali in Germania andava chiuso perché erano superflui. Per anni la maggior parte degli economisti hanno sollecitato una maggiore competizione e la chiusura di cliniche non competitive che sono finanziariamente in rosso.

L’anno scorso i consulenti di gestione PWC hanno chiesto che “cliniche sistemicamente importanti” fossero localizzate strategicamente e che solo a esse fosse permesso di sopravvivere. Tutte le altre cliniche sono attese far fronte alla competizione e che quelle che producono perdite siano chiuse. Secondo PWC, gli ospedali sistemicamente rilevanti dovrebbero trovarsi in un raggio accettabile di fino a 50 chilometri per la popolazione servita.

Gli autori dello studio Bertelsmann hanno già chiarito che l’attuazione della loro proposta non significherebbe la fine delle chiusure di massa. Se emergesse che non tutti i dipartimenti di un ospedale lavorassero a piena capacità, potrebbe essere “utile” un altro “esercizio di concentrazione”. Lo studio e la spinta a demolire infrastrutture sociali di importanza vitale in Germania vanno presi sul serio.

In Grecia la cosiddetta Troika della Commissione Europea, FMI e Banca Centrale Europea, sotto la guida della Germania, ha imposto un programma di brutale austerità che ha virtualmente distrutto il sistema di assistenza sanitaria pubblica. Oggi persone nella Nazione membro della UE stanno morendo di malattie curabili perché non hanno i fondi necessari per i medicinali oppure perché la chirurgia non può essere praticata. Analogamente in Latvia più della metà delle cliniche del paese è stata chiusa dopo la crisi economica del 2008 sotto la pressione della UE e del FMI, con conseguenze devastanti per la popolazione.

 Tino Jacobson e Markus Salzmann 

Fonte: World Socialist Web Site

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