Esplosioni nucleari: conseguenze e radioattività
Le conseguenze delle esplosioni nucleari in test o in tetri di guerra dipendono da vari fattori. Va detto innanzitutto che le bombe nucleari sono di due tipi: quelli che dipendono dalla fissione, come le bombe atomiche ( o “bombe A”) e quelle che dipendono dalla fusione, come le bombe all’idrogeno (o “bombe H”).
Le prime rilasciano la loro energia esplosiva con la scissione di atomi in materiali come l’uranio o il plutonio opportunamente “arricchiti”, in cui cioè l’isotopo fissile è presente in concentrazione molto più alta di quella naturale – addirittura superiore al 90% del totale – e in quantità tale che l’assemblaggio finale superi la cosiddetta “massa critica”, che è dell’ordine di alcuni chilogrammi e dipende dall’elemento scelto, dal suo arricchimento e dalla forma geometrica data al materiale esplosivo.
Diversamente, le bombe a idrogeno – note anche come bombe termonucleari – dipendono dalla fusione di atomi, come avviene nel nostro sole, per liberare quantità molto più vigorose di energia rispetto alle bombe atomiche. La fusione richiede temperature molto elevate, quindi le bombe atomiche vengono generalmente utilizzate come innesco per le bombe a idrogeno. Quindi, ogni bomba atomica è una bomba nucleare, ma ogni bomba nucleare non è una bomba atomica.
I test nucleari storici
Esistono vari tipi di test nucleari: in particolare, i test atmosferici, che si riferiscono a esplosioni che si verificano nell’atmosfera, con ordigni rilasciati da aeromobili o sparati da razzi; ed i test sotterranei, effettuati fino a profondità di oltre 2.400 m o in gallerie orizzontali sotto le montagne. Ma le bombe nucleari sono state detonate anche sott’acqua, fino a profondità di 600 m.
Le esplosioni nucleari subacquee vicino alla superficie possono disperdere grandi quantità di acqua e vapore radioattive, contaminando le navi, le strutture e gli individui vicini. Nei test sotterranei, invece, l’esplosione è pienamente contenuta, per cui emettono una ricaduta radioattiva (fallout) trascurabile rispetto ai test atmosferici. Tuttavia, se i test nucleari sotterranei “sfogano” alla superficie – ad esempio a seguito di crolli non preventivati – possono produrre una notevole contaminazione.
Nel complesso, ci sono state oltre 2000 esplosioni nucleari sotto forma di test per lo sviluppo di bombe nucleari, in tutto il mondo, tra il 16 luglio 1945 (data del test Trinity effettuato dagli Stati Uniti, il primo al mondo di una bomba a fissione, in quel caso al plutonio) e il 29 luglio 1996 (Cina). Circa il 25% – cioè più di 500 bombe – sono state esplose nell’atmosfera, e di queste oltre 200 dagli Stati Uniti, oltre 200 dall’Unione Sovietica, circa 20 dalla Gran Bretagna, circa 50 dalla Francia e 20 dalla Cina.
Gli oltre 2000 test nucleari effettuati nel mondo da Unione Sovietica (rosso), Francia, (blu), Stati Uniti (azzurro), Gran Bratagna (viola), Israele (nero), Cina (giallo), India (arancione), Pakistan (marrone), Corea del Nord (verde).
I frequenti test di bombe atomiche e nucleari effettuati tra il 1940 e il 1960 – ed in particolare i circa 520 con esplosioni nell’atmosfera effettuati dagli anni ’50 agli anni ’80 – hanno disperso una notevole quantità di inquinanti radioattivi. Alcune di queste contaminazioni sono state locali, per cui hanno reso gli immediati dintorni altamente radioattivi, mentre alcuni inquinanti sono stati trasportati più lontano dal fallout; parte di questi materiali inquinanti, tuttavia, sono stati dispersi in tutto il mondo.
L’aumento della radiazione di fondo dovuta a questi test ha raggiunto il picco nel 1963, pari a circa 0,15 mSv all’anno in tutto il mondo, ovvero circa il 7% della dose media dovuta al fondo naturale. Il “Trattato sulla messa al bando parziale dei test nucleari” (PTBT) del 1963 ha vietato i test nucleari nell’atmosfera – oltre a quelli sottomarini e nello spazio esterno – per cui nel 2000 la dose mondiale cumulativa dovuta ai test atomici e nucleari storici era diminuita a soli 0,005 mSv all’anno.
Data la consapevolezza e la preoccupazione pubblica sui possibili rischi per la salute associati all’esposizione alla ricaduta radioattiva dovuta ai test nucleari, sono stati condotti diversi studi per valutare la portata del pericolo. Gli studi delle più prestigiose istituzione americane in materia (il CDC di Atlanta e il National Cancer Institute) sostengono che il fallout nucleare potrebbe aver causato circa 11.000 morti nel mondo, la maggior parte delle quali causate dal cancro alla tiroide legato all’esposizione allo iodio-131.
Le conseguenze di un’esplosione nucleare
La potenza degli ordigni nucleari è molto variabile. La quantità di energia liberata dalle bombe atomiche, ad esempio, può variare da poco meno di 1 chiloton (kt) fino a 500 kiloton (pari a 500.000 tonnellate di TNT). La potenza delle bombe all’idrogeno, invece, può arrivare fino a oltre 50 megaton (Mt), come quelli della bomba Tsar fatta esplodere dai Sovietici, che era un ordigno termonucleare a tre stadi.
L’inquinamento radioattivo che si diffonde nell’atmosfera terrestre a seguito di un’esplosione nucleare è chiamato fallout. Esso è costituito da una polvere radioattiva, di solito formata da prodotti di fissione mescolati ad atomi in sospensione attivati dall’esposizione a neutroni, dunque è un tipo altamente pericoloso di contaminazione radioattiva. Un’esplosione in aria ben sopra il livello del suolo può produrre un fallout mondiale, mentre una al suolo può produrre un fallout locale ben peggiore.
Vi sono infatti tre tipi diversi di fallout nucleari: locali, troposferici e stratosferici. La caduta locale è abbastanza intensa, ma di breve durata. La caduta troposferica (nell’atmosfera inferiore), invece, viene depositata in un momento successivo e copre un’area più grande, a seconda delle condizioni meteorologiche. La caduta stratosferica, infine, rilascia particelle estremamente sottili nell’atmosfera superiore, e può continuare per anni dopo un’esplosione e distribuirsi in tutto il mondo.
Tale inquinamento è stato piuttosto comune nei due decenni successivi alla Seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica e la Gran Bretagna hanno condotto centinaia di test di ordigni nucleari nell’atmosfera. La Francia e la Cina non hanno iniziato a sperimentare le armi nucleari fino agli anni ’60 e hanno continuato la sperimentazione nell’atmosfera anche dopo che altre nazioni avevano accettato di spostare i loro test nel sottosuolo, dove il rilascio radioattivo interessa il terreno e le falde.
Contaminazione globale dell’aria. I test nucleari storici nell’atmosfera hanno provocato un aumento del carbonio-14 in entrambi gli emisferi, con un picco nel 1963.
Gli effetti di un’esplosione nucleare dipendono soprattutto dall’altezza e dalla potenza della bomba. L’esplosione di una bomba nucleare nell’aria dovrebbe avvenire grosso modo fra i 100 ed i 1.000 m dal livello del suolo per ottenere i massimi effetti dell’esplosione e per ridurre al minimo le radiazioni residue sul terreno. L’esplosione in aria minimizza anche il fallout, impedendo alla palla di fuoco da toccare il suolo, limitando la quantità di detriti vaporizzati e sollevati nella nube radioattiva.
La preoccupazione internazionale per le ricadute radioattive derivanti dai test atmosferici è aumentata a metà degli anni ’50, con le potenti bombe all’idrogeno. Nel marzo 1954, gli Stati Uniti hanno testato la bomba all’idrogeno Castle Bravo, da 15 megaton, nell’atollo di Bikini, nel Pacifico. Il test, oltre a un fallout globale, ha creato il peggiore disastro nella storia degli esperimenti nucleari statunitensi, contaminando i civili locali sulle vicine Isole Marshall, i militari statunitensi situati sull’atollo di Rongerik e alcuni pescatori, colpiti da sindrome da radiazioni acute e malattie da radiazioni.
Gli effetti di un fallout radioattivo
Tuttavia, i due esempi più noti che illustrano l’effetto della contaminazione da fallout radioattivo per esplosioni di bombe – sia pure di potenza relativamente modesta rispetto alle bombe all’idrogeno che compongono gli arsenali strategici delle maggiori potenze mondiali – sono il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, in Giappone, nel 1945, rispettivamente con una bomba atomica da “appena” 15 kt, chiamata Little Boy, esplosa a 580 m dal suolo e una da 20 kt, Fat Man, esplosa a 470 m dal suolo.
La popolazione di Hiroshima prima che la bomba la colpisse era di 255.000 persone, mentre quella di Nagasaki era di 195.000 persone. Nell’immediato, le vittime totali per ustioni, ferite fisiche e radiazioni gamma erano state circa 100.000. Dopo cinque anni dal bombardamento, complessivamente nelle due città giapponesi ben 225.000 persone avevano perso la vita, principalmente a causa dell’esposizione a lungo termine alle radiazioni prodotte dall’esplosione, sotto forma di fallout successivo.
Sembra quasi certo dai vari resoconti che il maggior numero totale di decessi sono stati quelli verificatisi subito dopo le due esplosioni. Le cause di molte delle morti possono essere solo ipotizzate, e naturalmente molte persone vicino al centro dell’esplosione hanno subìto ferite fatali da più di uno degli effetti prodotti dalle bombe. Ad ogni modo, si stima che la causa principale delle morti immediate siano state le ustioni in circa il 60% dei casi e la caduta di detriti in circa il 30% dei casi.
In generale, gli effetti del fallout si differenziano dalla morte rapida intervenuta a seguito di dosi elevate di radiazioni penetrate nell’intero corpo. Infatti, una porzione della popolazione esposta a basse dosi di radiazioni ionizzanti – associate alla radioattività delle polveri una volta ricadute al suolo – può avere una vita essenzialmente normale per un periodo variabile, fino allo sviluppo di effetti ritardati. Maggiore è la dose di radiazione assorbita, e più elevato è il rischio di svilupparli.
Una soglia utile in tale contesto è la dose di radiazioni ionizzanti che ucciderebbe metà della popolazione esposta (LD50). Si tratta di un parametro comune utilizzato per confrontare gli effetti di vari tipi di fallout o di circostanze. Di solito, questo parametro è definito per un tempo specifico e limitato agli studi di letalità acuta. I periodi comuni utilizzati sono 60 giorni per esseri umani e grandi animali. Inoltre, esso presuppone che gli individui non ricevano altri tipi di lesioni o cure mediche.
Negli anni ’50, la LD50 per i raggi gamma era stimata a 3,5 gray (Gy). La maggior parte delle persone si ammalano dopo un’esposizione a 1 Gy o più. Ci sono stati pochi casi documentati di sopravvivenza oltre i 6 Gy. Se una persona è esposta in modo non omogeneo, per cui una data dose è mediata su tutto il corpo, è meno probabile che sia letale. I feti delle donne in gravidanza sono spesso più vulnerabili alla radiazioni e potrebbero avere un aborto spontaneo, soprattutto nel primo trimestre.
Un’ora dopo un’esplosione nucleare al suolo, la radiazione dovuta al fallout nella regione del cratere è di circa 30 Gy/h, che è già una dose acuta che porta alla morte in 5-6 giorni. Per confronto, le dosi civili in tempo di pace variano da 30 a 100 μGy/anno. Per le esplosioni fino a 10 kt di potenza, la dose acuta incapacitante che si riceve dalla radiazione immediata è ciò che produce più vittime sul campo di battaglia. Alle distanze alle quali le dosi sono più basse predominano, invece, gli effetti a lungo termine.
La radiazione dovuta al fallout diminuisce in modo relativamente rapido nel tempo. La maggior parte delle aree diventano abbastanza sicure per viaggiarvi e per la decontaminazione dopo un periodo che va da tre a cinque settimane. Infatti, la radioattività decade in modo esponenziale con il tempo, in modo tale che per ogni incremento di un fattore sette nel tempo, la radiazione si riduce di un fattore di dieci. Ad esempio, dopo 7 ore, la dose media si è ridotta di 10 volte, dopo 49 ore di 100.