Eppoi il proletario diventò una figura familiare

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La Rivoluzione d’Ottobre ha segnato l’inizio di un nuovo decisivo capitolo della storia umana. Nemmeno trent’anni dopo (25 dicembre 1991) la fine del primo Stato socialista della Storia dell'umanità si può dire che quella esperienza si sia conclusa. Tant'è che ancora se ne parla.

proletariato Roger Lipsett La vittoria in Russia dei bolscevichi nell’ottobre del 1917, avviò il progetto di costruzione di una società, radicalmente alternativa al sistema capitalistico. Sarebbe stata realizzabile - secondo Lenin - con l' ascesa al governo  della classe operaia rappresentata dal partito comunista.  

Non a caso la Rivoluzione d’Ottobre avvenne nel contesto della Prima guerra mondiale, ovvero nel quadro di una delle crisi storiche più catastrofiche, che si riassume in tutta la sua tragica evidenza, nell’orrenda carneficina della Grande Guerra. Accadde nella Russia zarista, in un paese culturalmente aggrovigliato da contraddizioni politiche ed economiche, dove sarebbe stata impraticabile una rivoluzione democratica guidata dalla borghesia. Almeno così la pensava Lenin che, vide nella rivoluzione proletaria l’unica chance sia per sollevare dalla miseria le masse contadine, sia per abbattere la monarchia degli Zar.

Lenin assicurava alle masse che, soltanto dopo la fine degli Zar si sarebbe potuto iniziare la "costruzione di una società nuova" con "regole di convivenza" nuove. Così avvenne. Ma si dovrà aspettare fino agli anni Trenta, per poter toccare con mano i risultati della “spinta propulsiva” della Rivoluzione d’Ottobre. Furono anni fulgidi, ma anche di efferata lotta politica, con da una parte Stalin, dall’altra parte gli oppositori all’interno del partito. Scattarono così le “grandi purghe”, nel tempo del "grande terrore". E' storia nota tuttavia, persino Troschij nel suo saggio: Il fallimento della Seconda Internazionale, riconobbe l’ampia valenza dei risultati della crescita industriale e agricola dell’Urss, con ritmi e tempi  inusitati. Il tutto in sintonia con il miglioramento delle condizioni di vita del proletariato russo.

Una rivoluzione industriale di così grande portata, in un paese vasto e arretrato come la Russia, che in meno di un decennio aveva moltiplicato il numero degli operai, e delle fabbriche non aveva precedenti nella Storia del paese. Sono “i risultati incontestabili della Rivoluzione d’Ottobre”, sentenziò Troschij. Detto da lui, (esiliato per volontà di Stalin), era una sorta di generoso sugello al dittatore georgiano, il quale aveva imposto la burocratizzazione planetaria dell'Unione Sovietica e dei paesi satelliti, all'insegna del "socialismo in un solo Paese".

Soltanto negli anni Settanta balzerà evidente che la gestione impastata di burocrazia e inefficienza si era rivelata letale. Il bilancio della pianificazione centralizzata in Urss come negli altri paesi comunisti si mostrò fallimentare, sia sotto il profilo della produttività, che su quello della qualità dei prodotti e  di  conseguenza sulla quantità dei consumi. Nel contempo in Occidente si era avviata una profonda ristrutturazione dei sistemi economici e produttivi: “rivoluzione scientifica e tecnologica”, era lo slogan.

Insomma, i capi del Cremlino nemmeno dopo un decennioe passa, erano riusciti a riformare il sistema sovietico, intervento ineludibile per far fronte alla competizione economica. In poche parole, non riuscirono a stare al passo con  un Occidente capitanato da personaggi come Ronald Reagan e Margaret Thatcher.

A poco valsero i tentativi di Michail Gorbačiov di riformare lo Stato e il sistema politico sovietico. La sfida di Gorbačiov poggiava su «un nuovo modo di pensare la politica» del socialismo, e della convivenza, che doveva solleciatre una ricerca,  «di vitale importanza per la comprensione della nuova situazione nella quale il rinnovamento della civiltà è intrecciato con il problema della sopravvivenza del genere umano». (Giuseppe Vacca, La sfida di Gorbačiov. Guerra e pace nell’era globale, Salerno Editrice. 2019).

Il «nuovo modo di pensare» avrebbe assunto, secondo Gorbačiov, i tratti d’un realistico e affascinante universalismo. «Abbiamo imboccato di nuovo una via non battuta», affermava Gorbačiov. Infatti, la perestrojka proponeva un programma di ricerca comune, un invito rivolto alle sinistre occidentali, intese in senso lato. Sebbene la nuova leadership sovietica avesse ridisegnato in pochi anni l’agenda della politica mondiale, la "sfida" non venne raccolta e Gorbačiov fu "congelato".

Dopotutto, l'abbattimento del Muro di Berlino fu dovuto interamente al Premier sovietico. E grazie sempre a lui si ebbe lo sganciamento progressivo e senza traumi degli Stati dell’Europa centro-orientale dal Patto di Varsavia, che segnò la fine della "Guerra Fredda".  Poco o nulla sarebbe accaduto senza la "spinta propulsiva"  di Gorbačiov, eppure non glielo riconobbero a cominciare dai suoi connazionali.

 
 
 
 
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Vincenzo Maddaloni
Vincenzo Maddaloni ha fondato e presiede il Centro Studi Berlin89, l'associazione nata nel 2018, che si propone di ripercorrere analizzandoli i grandi fatti del mondo prima e dopo la caduta del Muro di Berlino. Professionista dal 1961 (per un decennio e passa il più giovane giornalista italiano), come inviato speciale è stato testimone in molti luoghi che hanno fatto la storia del XX secolo. E’ stato corrispondente a Varsavia negli anni di Lech Wałęsa (leader di Solidarność) ed a Mosca durante l'èra di Michail Gorbačëv. Ha diretto il settimanale Il Borghese allontanandolo radicalmente dalle storiche posizioni di destra. Infatti, poco dopo è stato rimosso dalla direzione dello storico settimanale fondato da Leo Longanesi. È stato con Giulietto Chiesa tra i membri fondatori del World Political Forum presieduto da Michail Gorbačëv. È il direttore responsabile di Berlin89, rivista del Centro Studi Berlin89.

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