Berlinale 70ª. La Corea al ballo del " hip hop "

Il film "Time to hunt", uno dei due film coreani invitati alla Berlinale 2020 è ambientato in Corea in un futuro prossimo. A causa di una crisi economica il governo sta nuovamente negoziando con il Fondo internazionale, i lavoratori sono in sciopero per protestare contro le ristrutturazioni, e i giovani nelle città già da tempo hanno perso la speranza.

Time to HuntUna scena di “Time to Hunt”, regia di Yoon Sung-hyun . © 2020 Union Investment Partners, Littlebig Pictures, Sidus. All Rights Reserved.

Jun-seok (Lee Je-hoon), uscito da poco di galera e abbandonato nelle rovine della città, sogna una vita nuova su una piccola isola immersa nel mare blu turchese. Insieme ai suoi amici Jang-ho (Ahn Jae-hong), Ki-hoon (Choi Woo-shik) e Sang-su (Park Jeong-min) architetta un piano rischioso. All’inizio tutto va come programmato, ma ben presto i tre si ritrovano a scappare da un misterioso inseguitore (Park Hae-soo). La tensione mozzafiato del film incanta gli spettatori.

Nel suo film di debutto Bleak night il regista Yoon Sung-hyun descriveva con sensibilità i turbamenti emotivi degli adolescenti, e fu acclamato per questo dalla critica e dal pubblico. Time to hunt ora si muove nella direzione opposta. La trama è semplice e diretta, il regista ha voluto che fosse la situazione nella quale si trovano i suoi personaggi a creare suspence. “In questo mio lavoro non ho voluto concentrare l’attenzione sulla trama o sui dialoghi, bensì su ciò che solo i film hanno: la musica e il suono, la scenografia, il ritmo del montaggio, l’espressione sul volto degli interpreti”, spiega Yoon Sung-hyun.

Quando Ki-hoon e Jang-ho all’inizio del film vanno a prendere Jun-seok uscito di prigione, il distopico paesaggio urbano della Corea viene abbinato a della musica hip hop. La sinergia che ne deriva dà voce in modo avvincente al mondo emotivo di questi giovani uomini abbandonati a loro stessi. Non si può non menzionare anche i colpi di pistola nel sonoro del film, a tal punto impressionanti e realistici che le persone con elevata sensibilità o problemi di cuore dovrebbero prestare attenzione.

Anche il ruolo dell’antagonista domina il film in modo impressionante. Il passato di questo personaggio, che somiglia mentalmente a uno psicopatico e a livello fisico a un robot o a Dio, non è tuttavia quasi per niente oggetto di discussione. Solo le innumerevoli cicatrici e tatuaggi sul corpo muscoloso, visibili brevemente in una scena nella doccia, e le orecchie recise appese al muro dell’appartamento fanno intuire la sua vita passata. La disperazione di questi giovani, inseguiti da lui senza conoscerne il motivo e che devono temere per la loro vita, lascia una sensazione di vuoto. A livello sensoriale non si può sfuggire tuttavia alla tensione del film.

 

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Vincenzo Maddaloni
Vincenzo Maddaloni ha fondato e presiede il Centro Studi Berlin89, l'associazione nata nel 2018, che si propone di ripercorrere analizzandoli i grandi fatti del mondo prima e dopo la caduta del Muro di Berlino. Professionista dal 1961 (per un decennio e passa il più giovane giornalista italiano), come inviato speciale è stato testimone in molti luoghi che hanno fatto la storia del XX secolo. E’ stato corrispondente a Varsavia negli anni di Lech Wałęsa (leader di Solidarność) ed a Mosca durante l'èra di Michail Gorbačëv. Ha diretto il settimanale Il Borghese allontanandolo radicalmente dalle storiche posizioni di destra. Infatti, poco dopo è stato rimosso dalla direzione dello storico settimanale fondato da Leo Longanesi. È stato con Giulietto Chiesa tra i membri fondatori del World Political Forum presieduto da Michail Gorbačëv. È il direttore responsabile di Berlin89, rivista del Centro Studi Berlin89.
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