Germania e Italia avviluppate da una sequela di incomprensioni

Roma avrebbe dovuto giostrarsi tra Parigi e Berlino. Ha scelto Macron e la Germania si è offesa di brutto. Un errore fatale. L'ultimo caso, le fallite nozze tra Fiat e Renault. I governanti del Belpaese ancora non l'hanno capito?

Ognuno di noi ha un amico o un'amica che si rovina la vita ostinandosi ad amare le persone sbagliate, e nonEUGENIO COLMO GOLIA si accorge di chi al suo fianco sarebbe disposto ad amarla. Così l'Italia in Europa da sempre guarda alla Francia, e trascura la Germania. Un errore fatale. L'ultimo caso, le fallite nozze tra Fiat e Renault. Non abbiamo ancora capito che i «cugini francesi» proprio non ci vogliono al loro fianco. Sono convinti di essere migliori, di tutti, e non vogliono farsi vedere sottobraccio con un'Italia non al loro livello. Nell'asse tra Parigi e Berlino (e ieri Bonn) ci buttiamo sempre tra le braccia di Sarkozy, di Hollande, e oggi di Macron tutti in caduta libera.

I francesi non ci amano, ho letto nei giorni scorsi. E neanche i tedeschi? Diciamo che non ci amano più, o sempre meno. Non sarà anche colpa nostra? Un problema antico. Durane il Risorgimento, quando Vienna chiese aiuto a Berlino contro il Piemonte, il re di Prussia rispose: neanche un mio soldato perderà la vita per la Lombardia. Nel 1914 entrammo in guerra contro l'Austria con quasi un anno di ritardo. Ma solo due anni dopo contro la Germania. Il principe Bernhard von Bülow, sposato alla figliastra di Minghetti che amava alla follia, cercò invano di tenerci fuori, facendo pressioni sugli austriaci perché ci dessero tutto quello che volevamo, tanto da guastare i rapporti con Vienna. E fummo noi a dichiarare guerra alla Germania, naturalmente al momento sbagliato.

Saltiamo il III Reich. Nel dopoguerra, Italia e Germania hanno affrontato insieme gli stessi problemi. I nostri immigrati diedero un contributo decisivo al boom tedesco, e loro non lo dimenticano. Noi, dopo 42 anni non dimentichiamo la copertina dello Spiegel con il revolver sugli spaghetti fumanti, era il 26 luglio del ?77. Ma un settimanale non rappresenta la Germania, ed oggi lo Spiegel sprofonda nella crisi.

I Deutschitaliener hanno cambiato il paese: oggi i tedeschi hanno imparato a gustare la vita «all'italiana», vanno al ristorante non solo per occasioni speciali, hanno scoperto l'aceto balsamico e la mozzarella, preferiscono il prosecco allo champagne, si vestono come noi, almeno ci tentano.

Beckenbauer riconobbe che Trapattoni aveva ragione a rimproverare i pigri giocatori tedeschi. Per anni il sogno dei tedeschi fu un «Haus in der Toskana», oggi i figli cercano di venderla spaventati dalle tasse sempre incerte e sempre più alte. Il partito più forte a Bonn era la Toskana Fraktion, che univa i politici di ogni formazione amanti dell'Italia, da Gerhard Schröder a Joschka Fischer.

Forse è di cattivo gusto, ma i terroristi della Baader-Meinhof, per le loro azioni preferivano l'Alfa Romeo alla Bmw. Ferdinand Piech, patron della Vw, avrebbe voluto comprarsi la casa del Biscione, e colleziona Alfa storiche, ne possiede almeno una dozzina. Se l'avessimo venduta a lui, oggi l'Alfa sarebbe sempre un mito, come la Lancia un tempo.

Il siciliano Giuseppe Vita giunse in Germania poco più che ventenne dopo la laurea, alla Schering. E arrivò a guidare la società, l'unica grande industria rimasta a Berlino. E la salvò. Abbado fu scelto dai maestri dei Berliner Philarmoniker per prendere il posto di Von Karajan. La ricostruzione della Potsdamer Platz, il cuore di Berlino, fu affidata al genovese Renzo Piano. L'architetto veneto Franco Stella ha appena completato la ricostruzione del castello degli Hohenzollern, il simbolo della vecchia Germania.

Quando Angela Merkel fece nominare Mario Draghi alla guida della Bce, la Bild Zeitung pubblicò la sua foto con l'elmo chiodato, simbolo per loro non di militarismo ma delle antiche virtù teutoniche, e il commento: «È italiano, ma sembra un tedesco».

Bisogna diffidare delle traduzioni facili, Liebe non è proprio il nostro amore e neanche il love degli inglesi. È un sentimento serio, che dovrebbe durare per la vita. E che noi non abbiamo saputo contraccambiare. Frau Merkel non avrebbe voluto rimanere isolata in Europa, accano a un sempre più inaffidabile Hollande. Ed oggi non si intende con Macron. Era pronta a porgere la mano a Renzi, l'Italia come ai tempi di Craxi, di Moro e Andreotti poteva essere accolta tra Parigi e Berlino, un terzo partner più debole ma decisivo, basta giocare di sponda tra francesi e tedeschi, senza essere vassallo di nessuno. Ma subito dopo il vertice a Ventotene, Renzi riprese gli attacchi alla cancelliera, per conquistare voti all'interno. La Frankfurter Allgemeine lo lo definì «un bulletto».

EUGENIO COLMO GOLIA 2

Accusiamo Frau Angela di tutti i nostri mali, ma l'euro fu un'idea di Mitterrand imposta a Kohl in cambio dell'unità delle Germanie. Il parametro al 3% lo dobbiamo a un giovane funzionario francese che lo ideò in base ai debiti della Francia in quel periodo. Chi ama, vorrebbe che lei o lui non abbiano difetti, e si arrabbia se non capiscono i loro errori. I tedeschi ci ammoniscono e ci rimproverano, a volte con durezza. I francesi, semplicemente, sorridono con malignità, soddisfatti che gli italiani siano peggio di loro.

Le tavole sono di Eugenio Colmo, detto "Golia" per la notevole statura, soprannome datogli dal compagno di studi, Guido Gozzano.

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Roberto Giardina

Roberto Giardina, dal 1986 in Germania, è corrispondente per il QN (Giorno-Resto del Carlino- La Nazione) e Italia Oggi. È presente su Berlin89 con la rubrica Pizza con crauti.  
Autore di diversi romanzi e saggi, tradotti in francese, spagnolo, tedesco. 

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