Guerra e Pandemia non rima bene con Democrazia

 La democrazia nel mondo è «sotto assedio», conferma Freedom House, la ong di Washington  fondata nel 1941 da un gruppo di personalità tra cui l'allora First Lady Eleanor Roosevelt, che è un po’ la decana tra tutte le sigle che si occupano di diritti umani nel mondo.

La democrazia è assediata perché, «i difensori della democrazia hanno subito nuove pesanti perdite nella loro lotta contro i nemici autoritari, in modo che l’equilibrio internazionale si è spostato a favore della tirannia», spiega Freedom House. Ovviamente la guerra  in Ucraina e il Covid ci hanno aggiunto del suo.

Anche i governi democratici, secondo Freedom House, si sono resi responsabili di, «sorveglianza eccessiva, restrizioni discriminatorie sulle libertà di movimento e di riunione e applicazione arbitraria o violenta di tali restrizioni da parte della polizia e di attori non statali. Ondate di informazioni false e fuorvianti, in alcuni casi generate deliberatamente dai leader politici, hanno inondato i sistemi di comunicazione di molti paesi, oscurando dati affidabili e mettendo a repentaglio le vite».
Morale: il 70 per cento dei Paesi accusa un declino a causa delle restrizioni di libertà. Infatti, la global democracy ha continuato il suo percorso in discesa anche nel 2021, secondo l'ultima edizione del Democracy Index.

maria rita prima le persone 2Freedom & Democracy /Photo: Maria Rita

L'indagine annuale dell’Economist Intelligence Unit, che valuta lo stato della democrazia in 167 paesi (sulla base di cinque misure: processo elettorale e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica, cultura politica democratica e libertà civili) ha rilevato che oltre un terzo della popolazione mondiale continua a vivere sotto un governo autoritario mentre solo il 6,4 per cento gode di una piena democrazia.
L’Italia si trova nella posizione 29esima, nella categoria definita “flawed democracy” che può essere tradotta in “democrazia imperfetta”. Essa raggruppa quei Paesi dove le elezioni sono libere e le libertà civili di base sono rispettate, ma possono avere dei problemi (ad esempio violazione della libertà d’informazione). Nondimeno, queste nazioni hanno delle significative falle in altri aspetti democratici, come una cultura politica sottosviluppata, bassi livelli di partecipazione nella vita politica, e problemi nel funzionamento del governo.
Questo dossier a firma di Paolo Molina è uno sorta di guida di viaggio che ci accompagna lungo il percorso della democrazia nella Storia d’Italia. E’ l’unico documentato modo per capire se l’etichetta di flawed democracy che hanno appiccicata addosso al Belpaese è un insulto o se l’è meritata.

 La democrazia nel mondo è «sotto assedio», conferma Freedom House, la ong di Washington  fondata nel 1941 da un gruppo di personalità tra cui l'allora First Lady Eleanor Roosevelt, che è un po’ la decana tra tutte le sigle che si occupano di diritti umani nel mondo.

La democrazia è assediata perché, «i difensori della democrazia hanno subito nuove pesanti perdite nella loro lotta contro i nemici autoritari, in modo che l’equilibrio internazionale si è spostato a favore della tirannia», spiega Freedom House. Ovviamente la guerra  in Ucraina e il Covid ci hanno aggiunto del suo.

Anche i governi democratici, secondo Freedom House, si sono resi responsabili di, «sorveglianza eccessiva, restrizioni discriminatorie sulle libertà di movimento e di riunione e applicazione arbitraria o violenta di tali restrizioni da parte della polizia e di attori non statali. Ondate di informazioni false e fuorvianti, in alcuni casi generate deliberatamente dai leader politici, hanno inondato i sistemi di comunicazione di molti paesi, oscurando dati affidabili e mettendo a repentaglio le vite».
Morale: il 70 per cento dei Paesi accusa un declino a causa delle restrizioni di libertà. Infatti, la global democracy ha continuato il suo percorso in discesa anche nel 2021, secondo l'ultima edizione del Democracy Index.

maria rita prima le persone 2Freedom & Democracy /Photo: Maria Rita

L'indagine annuale dell’Economist Intelligence Unit, che valuta lo stato della democrazia in 167 paesi (sulla base di cinque misure: processo elettorale e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica, cultura politica democratica e libertà civili) ha rilevato che oltre un terzo della popolazione mondiale continua a vivere sotto un governo autoritario mentre solo il 6,4 per cento gode di una piena democrazia.
L’Italia si trova nella posizione 29esima, nella categoria definita “flawed democracy” che può essere tradotta in “democrazia imperfetta”. Essa raggruppa quei Paesi dove le elezioni sono libere e le libertà civili di base sono rispettate, ma possono avere dei problemi (ad esempio violazione della libertà d’informazione). Nondimeno, queste nazioni hanno delle significative falle in altri aspetti democratici, come una cultura politica sottosviluppata, bassi livelli di partecipazione nella vita politica, e problemi nel funzionamento del governo.
Questo dossier a firma di Paolo Molina è uno sorta di guida di viaggio che ci accompagna lungo il percorso della democrazia nella Storia d’Italia. E’ l’unico documentato modo per capire se l’etichetta di flawed democracy che hanno appiccicata addosso al Belpaese è un insulto o se l’è meritata.

Parlando di democrazia

Quando si parla di Democrazia

democrazia ottimismo coverÈ vero, la storia dell’umanità è intrinsecamente collegata alla sopravvivenza del singolo e della specie, lo è dalla notte dei tempi, quando l’umanità iniziava a caratterizzarsi dal più generale consesso delle specie animali. La società in ogni epoca è stata ed è la comunità locale, costruita dall'interazione degli individui, organizzati in gruppi sempre più allargati, presenti su un territorio fino a conformarsi in forme di organizzazioni statali di mano in mano sempre più sovrane.

Ed ha generate conquiste ed involuzioni, cultura personale e di socializzazione, intelligenza personale e intelligenza di gruppo, interessi di singoli e di gruppi sociali, religione ed ateismo ed altri incalcolabili progressi, poi ha cercato definire e di dare senso alla democrazia.

Il concetto di democrazia venne partorito dalla più maestosa e sopraffine nutrice del pensiero politico: l’antica Grecia. Le analisi platoniane rappresentano la purezza della filosofia democratica, quest’ultima più reale della “platonica” democrazia a noi nota. Il concetto venne poi rispolverato nelle epoche successive come baluardo ideologico in contrapposizione alle longeve monarchie dominanti in Europa.
La democrazia è assunta sin dalla Grecia antica a paradigma di un sistema di governo dove la sovranità è esercitata in modo diretto ed indiretto dal popolo, e sino ad oggi il popolo è identificato nell’insieme di cittadini che ricorrono a sistemi e strumenti di consultazione popolari, come votazioni, deliberazioni, ecc.
Il termine demokratía comincia a circolare verso la fine del VI secolo avanti Cristo e sin da allora tende a definire le relazioni tra i cittadini di uno stato sovrano.
I linguisti ci ricordano che, krátos non significa genericamente «potere» ma si riferisce a quella forma di potere che scaturisce da, e si fonda su, l'uso della forza. Mentre il termine démos non è adoperato per denominare la totalità della popolazione, ma quella parte, anche nel caso maggioritaria, del popolo, che è in possesso di alcuni e precisi requisiti.
Le occorrenze di démos nel senso di regime popolare, cioè di democrazia, hanno avuto pochissime applicazioni e si trovano concentrate prevalentemente nel dibattito più che nella pratica, in quelle Costituzioni o Statuti che regolano diritti e doveri dei cittadini dello stato sovrano. Tra questi alcuni momenti rivoluzionari, per così dire traumatici, e conosciuti nel percorso degli stati sovrani, e cioè la rivoluzione francese e la rivoluzione russa. 
È così che il popolo, la totalità dei cittadini (aventi diritto), quel tutti, la democrazia! Rischiando di esser poco “popolo” ed è così che: la democrazia rimane pura utopia.
 
Anzi nella maggior dei casi la parola démos è sostanzialmente utilizzata, nella retorica, come valutazione negativa del popolo, soprattutto quando espresse dai suoi avversari, che contestano a questa forma di governo il fatto di privilegiare i (molti) cattivi, rispetto ai pochi (buoni), ovvero di pretendere che a governare fosse una moltitudine indistinta, anziché gli áristoi , i «migliori».
Così per alcuni demokratía indica il dominio coercitivo, esercitato con la forza, di quella parte del popolo che è il démos (storicamente con esclusione delle donne), mentre dall'altro esprime il sopravvento della componente quantitativamente, ma non qualitativamente, più significativa del popolo.
 
La guerra del PeloponesoA riguardo dell'antica grecia c'è anche da ricordare il modello di esportazione della democrazia come descrive Tucidide ricordando la Guerra del peloponneso (V secolo A.C).
“Vogliamo estendere il nostro dominio su di voi senza correre rischi e nello stesso tempo salvarvi dalla rovina, nell’interesse di tutti!” - dissero gli Ateniesi.
“Come potremmo avere lo stesso interesse: noi a diventare schiavi e voi a essere padroni?” - obiettarono i Meli.
“Perché voi avrete interesse a sottomettervi prima di subire gravissimi danni, e noi avremo il nostro guadagno a non distruggervi completamente.” - risposero gli Ateniesi.
“Sicché non accettereste che noi restassimo in buona pace, amici anziché nemici, conservando la nostra neutralità?” - obiettarono ancora i Meli.
“La vostra amicizia ci danneggerebbe più di un’aperta ostilità. Agli occhi dei popoli che dominiamo, l’amicizia diventerebbe una prova di debolezza da parte nostra, mentre il vostro odio testimonierebbe la nostra potenza!”.
 
E così succede che nella democrazia di oggi, dove auspicata, e dove si pensa, siano incastonati molti valori positivi della persona, quando si tratta di declinare la democrazia nelle questioni “sociali “ si tratta più spesso di darne un senso applicativo e di governarne i diritti e doveri anche in modo coercitivo, con la forza o con sanzioni, del singolo e della società attraverso emanazione di leggi ed ordinamenti, e dove occorra della loro interpretazione. Un percorso insidioso.

Lo stesso Totò Riina, non certo  un filosofo ma noto e feroce capo mafia, arrivò a questa conclusione: “Picchi certi affari complicati un si ponno rislovere ca dimocrazia.” che in lingua più italiana significa "Perchè certi affari complessi non si possono risolvere con la democrazia."

Ma va detto subito che l'Italia è una moderna repubblica parlamentare cioè una forma di governo in cui la rappresentanza democratica della volontà popolare è affidata, tramite elezioni politiche, al parlamento, che elegge in modi diversi sia il governo che il presidente della repubblica.

L'atto di fondazione della Repubblica Italiana è accompagnato da un vero e proprio statuto, ufficializzato e sottoscritto come la "Costituzione", a cui attingere per le attività di composizione degli atti pubblici di governo sociale dello stato sovrano. La Costituzione Italiana interiorizza la dialettica (hegeliana) all'interno delle normali dinamiche democratiche dei tre poteri: nella contrapposizione dialettica fra Parlamento ed Esecutivo che trova una sintesi nel Sovrano o Capo dello Stato e nel potere giudiziario che afferma il principio di legalità sull'esecutivo, nella contrapposizione dialettica fra i due rami di un Parlamento bicamerale che trova una sintesi nell'Esecutivo, nella contrapposzione dialettica fra due gradi di giudizio nel potere giudiziario che trova una sintesi finale nella Corte Suprema.

Le forme della democrazia

Oggi non si tratta di esprimere opzioni di favore nel confronto tra democrazia diretta e rappresentativa, è del tutto evidente che la forma di democrazia più diffusa è la democrazia rappresentativa. Ma anche in questa forma c’è un tema sul quale tutti concordano ed è la crisi della rappresentanza. Ecco dunque la risposta partecipazionista, che può certamente anche assumere connotazioni populiste, e che risponde al bisogno di soccorrere alle evidenti difficoltà in cui si dibattono le istituzioni rappresentative.

È però interessante mantenere alta l'attenzione sugli equivoci nell'uso del termine ed in ciò che può sottintentedere.
Democrazia diretta, democrazia partecipativa, democrazia deliberativa sono le forme più percorse e attuate nel cammino umano.
Bisogna pur dire che la democrazia diretta è in molte parti assimilata dalla democrazia partecipativa, (a volte in modi palesemente strumentali), ed è presente in molte Costituzioni.  Proprio perchè la democrazia diretta è caratterizzata dal fatto che il popolo è un organo dello Stato ed esercita, oltre alle competenze elettorali classiche, delle attribuzioni specifiche in materia costituzionale, convenzionale, legislativa o amministrativa.
Ma è dipendente o addomesticata quando l'esercizio di queste attribuzioni dipende dall'intervento o dalla volontà di un altro organo dello Stato, il Parlamento o il capo di Stato.
O è indipendente o propria quando il momento ed il tema sul quale il popolo interviene non dipende che dalla volontà di quest'ultimo, o da un criterio oggettivo sul quale gli altri organi dello Stato non hanno influenza. Ecco quindi che la democrazia diretta non si oppone, ma completa la democrazia rappresentativa.
La "democrazia deliberativa" raccoglie gli strumenti per realizzare il consenso tra persone di pareri ed interessi differenti, in questo caso la volontà del popolo non viene espressa tramite l'elezione di rappresentanti, come nella democrazia rappresentativa, ma attraverso un processo deliberativo diretto da parte dello stesso popolo. 

 

Democrazia e poteri

La Democrazia e i poteri

Il governo della vita democratica in ogni stato sovrano, secondo la teoria di Montesquieu, si basa su tre poteri: legislativoesecutivo e giudiziario. Questi tre poteri in democrazia idealmente sono o dovrebbero essere separati e bilanciati nel loro rapporto. Ed aggiunge "In base al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti."
Attualmente gran parte degli stati nel modo occidentale si ispira al principio di separazione dei poteri, ma con molte diversità sulle funzioni e bilanciamento dei tre poteri.
Molti hanno giudicato arbitraria l'individuazione delle tre funzioni statali, poichè spesso inadeguata per eccesso o per difetto.  
Ad esempio Hans Kelsen, che ha fondato il suo pensiero sul Normativismo, asserisce che l'unica distinzione logicamente giustificata sarebbe quella tra creazione e applicazione della legge, mentre la distinzione, nell'ambito di quest'ultima funzione, tra giurisdizione e amministrazione non sarebbe altro che una contingenza storica.
Altri aggiungono altre funzioni alle tre tradizionali, come l'indirizzo politico, la funzione di revisione costituzionale, il controllo di legittimità costituzionale delle leggi, il controllo sul potere esecutivo operato da organi indipendenti ( le corti dei conti), o la funzione "neutra" del capo dello Stato nei sistemi parlamentari.
 
Questo soprattutto perchè rimane sempre nello sfondo la discussione (purtroppo non riportata da Platone) su due “essenze” della democrazia: la votazione a suffragio universale, strumento democratico per eccellenza e i partiti politici, variamente denominati nel corso della storia, il così detto "popolo" della democrazia.
 
La storia ci ricorda come l'adozione del principio non sempre sia stata sufficiente a scongiurare degenerazioni autoritarie: basta ricordare l'esempio di Napoleone III in Francia o di Benito Mussolini in Italia che, pur avendo assunto il potere nell'ambito di un sistema costituzionale basato sulla separazione dei poteri, sono poi riusciti a trasformarlo in regime autoritario.
 
Ma la storia ci ricorda anche che oltre al principio di separazione dei poteri ci sono state impostazioni teoriche e conseguenti esperienze costituzionali od istituzionali che lo hanno rifiutato.
Lo troviamo negli anni della rivoluzione francese, storicamente il più alto ed estremo momento di sconvolgimento sociale, politico e culturale nella storia umana, in particolare con la promulgazione della Costituzione giacobina nel 1793, che aveva concentrato tutti i poteri nell'assemblea elettiva (Corpo Legislativo), richiamandosi al concetto di sovranità popolare. Sovranità popolare con la titolarità della funzione legislativa, alla quale aveva contrapposto la funzione di esecuzione, attribuita al governo, eletto dal popolo sovrano ma distinto da esso. 
Ed anche quella degli stati comunisti che rifiutano il principio di separazione dei poteri, ritenuto proprio degli stati borghesi, per sostituirlo con il principio di unità del potere statale. In base a questo principio tutto il potere è concentrato nelle assemblee elettive, ai vari livelli territoriali di governo (fino a quello centrale, statale o federale) le quali, in quanto organi del potere statale, non solo esercitano la funzione legislativa ma eleggono, controllano e possono revocare gli organi amministrativi (a livello statale il governo), giurisdizionali e di sorveglianza (procuratura) del proprio livello. Ed in virtù del principio del centralismo democratico, tutti questi organi rispondono ai loro elettori (quindi le assemblee al corpo elettorale, gli organi amministrativi, giurisdizionali e di sorveglianza alla rispettiva assemblea) ma dipendono anche dal corrispondente organo del livello superiore. E che le assemblee sono a loro volta condizionate dalla funzione di guida esercitata dal partito comunista (anch'esso strutturato secondo il principio del centralismo democratico).

Negli Stati moderni, di stampo democratico:

  • la funzione legislativa è attribuita al parlamento, ed ai parlamenti degli stati federati o agli analoghi organi di altri enti territoriali dotati di autonomia legislativa, che costituiscono il potere legislativo;
  • la funzione amministrativa è attribuita agli organi che compongono il governo e, alle dipendenze di questo, la pubblica amministrazione, i quali costituiscono il potere esecutivo;
  • la funzione giurisdizionale è attribuita ai giudici, che costituiscono il potere giudiziario.

 Di norma il bilanciamento tra questi poteri è effettuato attraverso varie tecniche, con la creazione di corpi istituzionali di raccordo tra i poteri.

Nel corso del tempo ci sono poi stati vari tentativi di innovare queste teorie e queste pratiche al principio di separazione dei poteri ed è entrato nell'uso comune di definire la stampa quarto potere per la sua capacità di influenzare le opinioni e le scelte della popolazione (in particolare, degli elettori) ma anche per il controllo che svolge, o può svolgere, sul potere politico informando la popolazione riguardo alle attività dei suoi detentori.
Sulla stessa scia è stata in seguito coniata la definizione di quinto potere per la televisione e, con lo sviluppo avuto dal Web, di sesto potere per Internet. In questi casi il termine potere è usato in senso metaforico, trattandosi di fenomeni sociali del tutto diversi dai poteri dello Stato.

Democrazia è consenso

Democrazia è anche consenso

Spesso al popolo ma anche al singolo è necessario dirimere su diritto e dovere dei conflitti derivanti da consuetudini o abitudini che rappresentano comportamenti non tradizionalmente concepibili con l’assunto di cultura democratica e dei valori che la compongo, come libertà, giustizia e così via, del singolo e della comunità.

Questo perché oggi alla parola democrazia (almeno nella sua origine etimologica) non si associa più la sola “forma stato”, o meglio non è quasi mai stata associata una forma stato, inteso come stato sovrano, ma riguarda qualsiasi comunità di persone e delle decisioni che prende al suo interno, in particolare su temi divisivi. Così può accadere che possono essere tollerate se non giustificate a lungo nel tempo e da vasti gruppi di persone o da degli stati, dei modelli o dei valori non certo edificanti spesso violenti, repressivi o semplicemente inadeguati.

Buon voto a tutti

La nostra Repubblica Italiana si è dotata di una Costituzione dove sono presenti molte caratteristiche di democrazia formale ed  alla quale si attengono le istituzioni ed i cittadini italiani. Quasi sempre.
 
Sul voto l’articolo 48 cita: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è un dovere civico”.
 Detto questo da sempre e da parte di qualcuno è difeso il diritto all'astensione, sopratutto oggi quasi sempre davanti ad argomenti referendari “spinosi”.
Ma non è così o almeno non dovrebbe esserlo. Primo perché l’astensione non è contemplata in nessun articolo della Costituzione, ne è contrapposta a nessun altro diritto o dovere.
Anzi senza essere dei costituzionalisti o volersi sostituire alla Corte Costituzionale, l’articolo 48 sta nella prima parte della Costituzione (Titolo IV, rapporti politici), ha quindi un valore generale (da seguire ad ogni promulgazione di una legge), per i voti dati dagli elettori in qualsivoglia consultazione. Non è quindi collegato solo alla parte seconda (il Parlamento, elezione della Camera, articolo 56). Ma anche all’articolo 75 che afferma che “hanno diritto” a partecipare ai referendum i cittadini chiamati ad eleggere la Camera; in questo caso è si previsto il quorum della maggioranza, ma non si dice affatto che non votare è riconosciuto come un diritto costituzionale, pur essendo una scelta legittima.
Quindi votare è “un dovere civico”.

non voto coverCè da aggiungere che durante il dibattito alla Costituente (erano altri tempi, luglio 1946, e con altri statisti!), non passò – perché non si volle essere troppo esigenti e vincolanti – una versione del secondo comma dell’art. 48 che così diceva: il voto è “un dovere civico e morale”. Si pensò che, dato che si intendeva sanzionare nella legge elettorale gli elettori non votanti, non era opportuno censurare un atto che investiva una qualità morale del cittadino. Scrupoli costituzionali che oggi sarebbero davvero impensabili!

Successivamente l’argomento fu ripreso e determinò una sentenza della Corte costituzionale (n.96, 2 luglio 1968): 

nelle considerazioni in diritto, al punto 3, si legge che “in materia di elettorato attivo, l’articolo 48, secondo comma, della Costituzione ha, poi, carattere universale ed i princìpi, con esso enunciati, vanno osservati in ogni caso in cui il relativo diritto debba essere esercitato”.

E poi non dimentichiamo anche che fino all’abrogazione nel 1993 i cittadini non votanti per le elezioni delle Camere, venivano sanzionati (dpr n.361 del 30 marzo 1957). Le consultazioni referendarie erano ancora lontane. Articolo 4: 

” L’esercizio del voto è un obbligo al quale nessun cittadino può sottrarsi senza venir meno ad un suo preciso dovere verso il Paese”. 

Ma c’era ben di più all’articolo 115: 

“L’elettore che non abbia esercitato il diritto di voto, deve darne giustificazione al sindaco (….) L’elenco di coloro che si astengono dal voto (…)senza giustificato motivo è esposto per la durata di un mese nell’albo comunale (…) Per il periodo di cinque anni la menzione ‘non ha votato’ è iscritta nei certificati di buona condotta (…)”.

A proposito appunto delle consultazioni referendarie ecco uno dei primi esempi passati in sordina di palese violazione della democrazia, i referendum abrogativi sulle norme per la procreazione assistita. Fu la vittoria dell’astensionismo su un argomento spinoso. Perché i referendum non raggiunsero il quorum minimo, solo il 25,9% degli aventi diritto si reca alle urne. 

Due visioni contrapposte la prima all’interno del rispetto della democrazia ed una esterna a questo processo con evidenti caratteristiche di contrapposizione.
Nel caso alcune alte cariche istituzionali del tempo affermarono pubblicamente:
“Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è un dovere civico”. Giorgio Napolitano più volte nella lunga carriera politica e da Presidente della Repubblica.
“ Vado a votare, perché il referendum è una forma di partecipazione del cittadino. Può stare a casa, è un suo diritto, ma in questo modo si incentiva l’assenza di partecipazione. Puntare sul fallimento del quorum sarà anche legittimo, ma è politicamente sbagliato”. Fini da presidente della Camera.
” Non mi recherò a votare. E’ un diritto dei cittadini decidere se votare o meno per il referendum”. Berlusconi premier all’epoca.
“Non votare è un diritto costituzionale”. Sacconi ministro del Lavoro.
“... frutto della maturità del popolo italiano, che si è rifiutato di pronunciarsi su quesiti tecnici e complessi, che ama la vita e diffida di una scienza che pretenda di manipolare la vita”. Così commentava Camillo Ruini cardinale e arcivescovo italiano dopo una lunga campagna mossa sull'argomento dalla Chiesa romana.

Certo astenersi è una facoltà ma si può anche deporre nell’urna una scheda bianca (se non ci si vuole esprimere nel merito), adempiendo così al dovere di votare. Se non altro si comporerebbe un disegno più coerente ed evidente delle scelte del "popolo sovrano".

L'Europa comunitaria

La società si riproduce fornendo al nuovo membro di una comunità ciò che è indispensabile a interagire e a integrarsi con gli altri.

La Commissione delle Comunità Europee il 30.10.2000 a seguito del Consiglio Europeo di Lisbona del marzo 2000, ha presentato il “Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente” ritenendo strategicamente essenziale per “il buon esito della transizione ad un’economia e una società basate sulla conoscenza” l’istruzione e la formazione permanente (lifelong learning and lifewide learning) definite “come ogni attività di apprendimento finalizzata, con carattere di continuità, intesa a migliorare conoscenza, qualificazioni e competenze”.

Il Memorandum, inoltrandosi nella spiegazione del che cosa si debba intendere con “la formazione lungo tutto l’arco della vita e in tutti gli ambiti della vita”, distingue “tre diverse categorie fondamentali di apprendimento finalizzato:

  • l’apprendimento formale che si svolge negli istituti di istruzione e di formazione e porta all’acquisizione di diplomi e di qualifiche riconosciute;
  • l’apprendimento non formale che si svolge al di fuori delle principali strutture d’istruzione e di formazione e, di solito, non porta a certificati ufficiali. L’apprendimento non formale è dispensato sul luogo di lavoro o nel quadro di attività di organizzazioni o gruppi della società civile (associazioni giovanili, sindacati o partiti politici). Può essere fornito anche da organizzazioni o servizi istituiti a complemento dei sistemi formali (quali corsi di istruzione artistica, musicale e sportiva o corsi privati per la preparazione ad esami);
  • l’apprendimento informale corollario naturale alla vita quotidiana. Contrariamente all’apprendimento formale e non formale, esso non è necessariamente intenzionale e può pertanto non essere riconosciuto, a volte dallo stesso interessato, come apporto alle sue conoscenze e competenze”.

L’evento Memorandum ha segnato negli anni 2000 le strategie europee sulla formazione continua e in particolare l’educazione degli adulti (Pavan 2003 ),  portando tutti i Paesi a condividere nel 2008 l’European Qualifications Framework for Lifelong Learning e nel 2009 le European Guidelines for validating non-formal and informal learning su proposta del Cedefop (Centro Europeo per lo Sviluppo della Formazione Professionale), conducendo così ad un sistema di validazione e riconoscimento dei “risultati di apprendimento”, descritti come conoscenze-abilità-competenze in qualunque contesto acquisite, e certificati da otto livelli di qualifiche in uscita da diversi percorsi di studio.

Questo processo si realizza nei luoghi di socializzazione, le quali possono per questo essere anche definite “agenzie formative” o educative. 

Famiglia, scuola, gruppo, comunità, mass-media, ambienti lavorativi, associazioni, istituzioni locali, costituiscono dunque un ampio sistema formativo, una rete di interventi sulla formazione sociale dell’individuo.  Questa estensione e complessità dell’attività formativa nella nostra società fa sì che le diverse agenzie formative mescolino talvolta in modo disordinato i loro effetti sull’individuo.  A ciò si unisce lo sviluppo di un “mercato formativo” che soddisfa la domanda individualizzata di educazione in modo spesso privo di un centro e di un significato coerente. 

A questa situazione “policentrica” la pedagogia contrappone la creazione di un “sistema formativo integrato”, attraverso un “patto” in cui le diverse agenzie dotate di un ruolo formale e riconosciuto di educazione (come la famiglia e la scuola) si coordinano e agiscono in modo diversificato ma coerente per il raggiungimento di fini comuni.

Lifelong Lifewide learning

Oggi sovente si sente usare il termine inglese lifelong learning, espressione che si riferisce alla dimensione verticale, e fa riferimento al fatto che l’apprendimento oggi riguarda l’intera durata della vita. Questa convinzione deriva anche dalla comprensione della dimensione apprenditiva insita in ogni azione umana.

Il concetto di lifelong learning rappresenta il superamento di una dimensione temporale definita (il tempo dell’istruzione iniziale) che una volta rappresentava, nell’esistenza di un soggetto, spesso l’unica porzione di vita dedicata all’apprendimento.

Per completezza occorre anche parlaredi lifewide learning, riferendosi in questo caso alla dimensione orizzontale, che fa riferimento a tutti gli ambiti della vita e rappresenta il superamento dei luoghi deputati all’apprendimento (tradizionalmente scuola e università) e la valorizzazione di ogni esperienza del soggetto.

L’espressione completa diventa allora lifelong lifewide learning e tempi e spazi dell’apprendimento si allargano sino a comprendere ogni ambito di vita ed ogni tempo del soggetto.

In una concezione dell’apprendimento di questo tipo diventa fondamentale riuscire a far comprendere alle persone, non ai professionisti del sapere, come ne è cambiata la concezione affinché possano riconoscere nei vari aspetti della propria vita le occasioni che lo favoriscono ed, attraverso la consapevolezza, ne possano approfittare.

Diventa allora fondamentale (seppur non sufficiente) una migliore comprensione delle denominazioni dei vari tipi di apprendimento attraverso la quale sono ormai entrati nel linguaggio, diffondendosi anche fuori dagli addetti ai lavori, alcuni termini rappresentativi.

Il quadro comunitario attorno al concetto di competenza ha avuto un’accelerazione importante negli ultimi venti anni, i passaggi normativi e le raccomandazioni, sia a livello europeo che al livello degli Stati Membri si sono moltiplicati. 

Fondamentale risulta, ad esempio, la raccomandazione denominata “Competenze chiave per l’apprendimento permanente” emanata il 18 dicembre 2006 dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea (e sostanzialmente recepita, in Italia, dal Regolamento sull’obbligo di istruzione del 22 agosto 2007), con questa raccomandazione si richiede ad ogni sistema di istruzione e formazione, degli stati membri di 

“offrire a tutti i giovani gli strumenti per sviluppare le competenze chiave a un livello tale che li prepari alla vita adulta e costituisca la base per ulteriori occasioni di apprendimento, come anche per la vita lavorativa. Le competenze chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione.”

Sistema Formativo e agenzie formative (interpretazione italiana)

L’attuale pedagogia individua e adotta diverse “cornici” concettuali anche in relazione ad una molteplicità di problematiche formative. Si parla più in generale di “invarianti”, individuate come sottoinsiemi formativi tra questi:

  • IL SOTTOSISTEMA FORMATIVO FORMALE  È composto da un insieme di istituzioni intenzionalmente formative, secondo finalità indicate formalmente in un Programma ministeriale. Il principale è il sistema scolastico
  • IL SOTTOSISTEMA FORMATIVO NON FORMALE Corrisponde alle agenzie formative extrascolastiche caratterizzate da intenzionalità formativa. Soggetti che si pongono scopi formativi non formalizzati in un Programma del Legislatore, ovvero: il cui Progetto formativo non è stabilito giuridicamente. In questo quadro abbiamo: la famigliale Chiese, l'associazionismo, gli Enti locali
  • IL SOTTOSISTEMA FORMATIVO INFORMALE  Agenzie sociali che pur non possedendo autentici intenti formativi, producono comunque effetti considerabili come "formativi". In questo insieme sono identificati: - i mass media (ovvero: il sistema della comunicazione sociale), - le offerte formative di mercato (il cui intento primario è, ovviamente, il profitto), - i contesti sociali informali (per esempio: il cosiddetto "gruppo dei pari", il bar ecc.).

Sistema Formale

È l’apprendimento formale che si svolge negli istituti di istruzione e di formazione e porta all’acquisizione di diplomi e di qualifiche riconosciute.

Si tratta di quell’apprendimento che avviene in un contesto organizzato e strutturato (in un’istituzione scolastica/formativa), è esplicitamente pensato e progettato come apprendimento e conduce ad una qualche forma di certificazione.

Sistema non formale

È l’apprendimento connesso ad attività pianificate ma non esplicitamente progettate come apprendimento (quello che non è erogato da una istituzione formativa e non sfocia normalmente in una certificazione, ad esempio una giornata di approfondimento su un problema lavorativo nella propria professione)

L’apprendimento non formale è dispensato sul luogo di lavoro o nel quadro di attività di organizzazioni o gruppi della società civile (associazioni giovanili, sindacati o partiti politici). Può essere fornito anche da organizzazioni o servizi istituiti a complemento dei sistemi formali (quali corsi di istruzione artistica, musicale e sportiva o corsi privati per la preparazione ad esami).

Sistema informale

È l’apprendimento corollario naturale alla vita quotidiana. Contrariamente all’apprendimento formale e non formale, esso non è necessariamente intenzionale e può pertanto non essere riconosciuto, a volte dallo stesso interessato, come apporto alle sue conoscenze e competenze”.

Si tratta delle molteplici forme dell’apprendimento mediante l’esperienza risultante dalle attività della vita quotidiana legate al lavoro, alla famiglia, al tempo libero, non è organizzato o strutturato e non conduce alla certificazione (ad esempio un’appartenenza associativa).

Sempre nel Memorandum si parla di “istruzione formale” e di “istruzione non formale” e viene affermato che “l’ambiente informale rappresenta una riserva considerevole  di sapere e potrebbe costituire un importante fonte di innovazione nei metodi di insegnamento e di apprendimento”. Usando il termine “ambiente” il Memorandum spiega anche il neologismo “lifewide learning” come dimensione “orizzontale” della formazione continua, che, appunto, “può aver luogo in tutti gli ambiti ed in qualsiasi fase della vita”. In questa prospettiva si introduce con forza la “complementarietà dell’apprendimento formale, non formale e informale

Il sistema informale andrà quindi maggiormente indagato poiché acquista sempre più maggior peso e articolazione: entra prepotentemente in campo il sistema dei mass media ma anche dei personal media; è inoltre presente un variegato sistema di offerte formative di mercato, collegato alle nuove e inedite esigenze dei nuovi scenari sociali (corsi di informatica, di lingue straniere ecc.). 

Il sistema formativo complessivo è oggi percorso da dinamiche e da tensioni che producono tensioni e squilibri. Le dinamiche principali sono:

  • "esterne" riguardano la società nel suo complesso e investono anche il sistema formativo (p.e. la rivoluzione tecnologico-informatica)
  • e "interne" al sistema formativo ed appaiono ad esso specifiche del policentrismo formativo e quello dell'egemonia dell'informale e fanno registrare un decremento delle relazioni faccia-a-faccia. 
I processi di socializzazione, in parte, tendono a collocarsi al di fuori della comunicazione interpersonale diretta.  La conoscenza assume uno stato "caotico", nel quale i vari "frammenti" si dispongono in configurazioni disordinate e mutevoli. 
L'apprendimento per "immersione" intuitiva e asistematica nel contesto cognitivo tende a sovrapporsi ed in buona misura a sostituire un apprendimento per assimilazione graduale, ragionata e preordinata del sapere

La causalità del processo formativo

Si deve guardare soprattutto al sistema dei mass media (e dei personal media) e quello delle offerte formative a pagamento (informatica, lingua straniera, attività fisiche ecc.). 

È qui che si verificato un modello spontaneo e casuale, senza un coordinamento e un tentativo di governare il processo e senza una vera e propria ricerca di raccordi  tra le agenzie stesse. Ecco perchè, il sistema formativo non si presenta soltanto in forma "policentrica", ma anche fortemente acentrica, senza un terminale di coordinamento e/o di un "baricentro" in grado di dare stabilità ed equilibrio al sistema nel suo complesso oltre ad essere frammentato, a causa dello scollamento tra l'azione delle varie agenzie. 

Inoltre, si deve precisare che le linee di frattura responsabili dell'attuale stato di disintegrazione del sistema formativo non si riscontrano soltanto lungo il confine tra sistema educativo formale e non formale da un lato, e l'ambito dell'informale dall'altro. 

Lo scollamento concerne i rapporti tra le stesse agenzie intenzionalmente educativetra la scuola, la famiglia, l'associazionismo, la Chiesa, l'Ente locale, le connessioni appaiono sporadiche, deboli, incerte

A questo, si aggiunge il fatto che le agenzie del sottosistema informale perseguono scopi che non sono di natura formativa, puntando alla mera soddisfazione della domanda dei clienti/spettatori e all'espansione della quantità di questi. 

Il quadro che emerge è  caratterizzato da un sistema formativo caotico, nel quale l'individuo è bombardato dall'azione di molteplici agenzie del formale, del non formale e dell'informale, e nel quale gli effetti di tali agenzie interferiscono tra loro in maniera complessa.

In altri termini, in un sistema formativo reso "policentrico" dalla pluralità di agenzie, "acentrico" dall'assenza di coordinamento, "frammentato" dalla chiusura autoreferenziale delle agenzie, "discontinuo" per orientamenti idelogico-culturali, si assiste ad un indebolimento delle capacità di controllo sul percorso formativo da parte delle agenzie "storiche" intenzionalmente educative (la famiglia, la scuola). 

Un situazione, in cui il percorso educativo rischia di divenire casuale. 

L'attuale regime formativo sembra perciò aver creato il rischio dell'avvento di un'epoca post-educativa, nella quale cioè l'"educazione", se con questo termine si intende il risultato atteso di una azione formativa intenzionale, sembra correre il pericolo di diventare di fatto impossibile.

Ecco dunque l’egemonia dell’informale. In questo contesto contesto storico sociale, l'impatto formativo maggiore viene esercitato proprio dal sottosistema informale, e l'influenza delle agenzie intenzionalmente educative appare attualmente in declino

A determinare questo stato di cose contribuiscono:

  • la frammentazione del sistema educativo, 
  • l'invadenza delle agenzie dell'informale, 
  • l'aggressività delle offerte di mercato (continuamente dedite alla creazione di nuovi bisogni e alla loro saturazione)  
  • la pervasività dei mass media e dei personal media

In pratica siamo giunti al punto in cui si moltiplicano le informazioni disponibili, ma all'interno di una dimensione segnata dalla perdita di senso, dalla difficoltà ad attribuire significati alla propria esistenza, che sembra appiattirsi sull'esperienza dei consumi e sugli immaginari indotti dai messaggi pubblicitari. 

L'influenza formativa maggiore sembra esercitata dal sottosistema privo di intenzionalità educativa e la dilatazione delle occasioni formative che tale sottosistema crea appare disseminata di rischi diseducativi.


Piove, Governo ladro

Nell'ottocento italiano e fino alla prima guerra mondiale la democrazia ebbe diverse interpretazioni e tentativi di applicazione.

Piove, Governo ladro!
L’espressione viene da molto lontano, dall’anno della fondazione del regno d’Italia a coronamento del lungo periodo conosciuto come “Risorgimento”, quando apparve su giornale “il Pasquino” una vignetta di Casimiro Teja, che commentava il fallimento a seguito della pioggia, di una dimostrazione di mazziniani a Torino.
lato nero democrazia copy copy
 
Antonio Gramsci si ripeteva comunemente, in modo interlocutorio, con la frase “L'avevo detto io! Piove, governo ladro!”. Per satireggiare l’attitudine diffusa di dare polemicamente, la colpa di ogni cosa al governo. Più recentemente i giovani rivoluzionari del sessantotto, ne fecero una una curiosa estensione figurata, manifestando davanti alla prefettura “Fuori piove dentro si sta bene”. Sembrerebbe che a Torino ci sia un meteo piuttosto sfavorevole alle azioni politiche.
 

Daltra parte Gramsci, che Torino conosceva bene, affronta e approfondisce l'argomento quando scrive sui Quaderni il paragrafo Egemonia e democrazia:

“ Tra i tanti significati di democrazia, quello più realistico e concreto mi pare si possa trarre in connessione col concetto di egemonia. Nel sistema egemonico, esiste democrazia tra il gruppo dirigente e i gruppi diretti, nella misura in cui [lo sviluppo dell’economia e quindi] la legislazione [che esprime tale sviluppo] favorisce il passaggio [molecolare] dai gruppi diretti al gruppo dirigente. Nell’Impero Romano esisteva una democrazia imperiale-territoriale nella concessione della cittadinanza ai popoli conquistati ecc. Non poteva esistere democrazia nei feudalismo per la costituzione dei gruppi chiusi ecc. „

o il lungo paragrafo: Passato e presente. Centralismo organico e centralismo democratico. Disciplina

Come deve essere intesa la disciplina, se si intende con questa parola un rapporto continuato e permanente tra governanti e governati che realizza una volontà collettiva? Non certo come passivo e supino accoglimento di ordini, come meccanica esecuzione di una consegna (ciò che però sarà pure necessario in determinate occasioni, come per esempio nel mezzo di un’azione già decisa e iniziata) ma come una consapevole e lucida assimilazione della direttiva da realizzare. La disciplina pertanto non annulla la personalità in senso organico, ma solo limita l’arbitrio e l’impulsività irresponsabile, per non parlare della fatua vanità di emergere. Se si pensa, anche il concetto di «predestinazione» proprio di alcune correnti del cristianesimo non annulla il così detto «libero arbitrio» nel concetto cattolico, poiché l’individuo accetta «volente» il volere divino (così pone la quistione il Manzoni nella Pentecoste) al quale, è vero, non potrebbe contrastare, ma a cui collabora o meno con tutte le sue forze morali. La disciplina pertanto non annulla la personalità e la libertà: la quistione della «personalità e libertà» si pone non per il fatto della disciplina, ma per l’«origine del potere che ordina la disciplina». Se questa origine è «democratica», se cioè l’autorità è una funzione tecnica specializzata e non un «arbitrio» o una imposizione estrinseca o esteriore, la disciplina è un elemento necessario di ordine democratico, di libertà. Funzione tecnica specializzata sarà da dire quando l’autorità si esercita in un gruppo omogeneo socialmente (o nazionalmente); quando si esercita da un gruppo su un altro gruppo, la disciplina sarà autonoma e libera per il primo, ma non per il secondo.

In caso di azione iniziata o anche già decisa (senza che ci sia il tempo di rimettere utilmente in discussione la decisione) la disciplina può anche apparire estrinseca e autoritaria. Ma altri elementi allora la giustificano. È osservazione di senso comune che una decisione [(indirizzo)] parzialmente sbagliata può produrre meno danno di una disubbidienza anche giustificata con ragioni generali, poiché ai danni parziali dell’indirizzo parzialmente sbagliato si cumulano gli altri danni della disubbidienza e del duplicarsi degli indirizzi (ciò si è verificato spesso nelle guerre, quando dei generali non hanno ubbidito a ordini parzialmente erronei e pericolosi, provocando catastrofi peggiori e spesso insanabili).

 

Italia e i regnicoli

natarepubblica coverFoto Federico PatellaniParlando dell’Italia (stato sovrano) e di forme di democrazia

Intanto dobbiamo dire che fino al 2 giugno 1946 l’Italia era una monarchia, del tutto simile a quella  di molti stati d’Europa.

Nelle scuole italiane si insegna che le origini dello Stato italiano risalgono intorno all'anno mille, quando fu creata la "Contea di Savoia" elevata nel 1416 a "Ducato di Savoia". Dal 1713 al 1720 il Ducato cambiò denominazione in "Regno di Sicilia" poichè i Savoia avevano ottenuto il titolo regio con l'annessione al preesistente Regno di Sicilia. Il Regno di Sicilia fu poi restituito dai Savoia agli Asburgo in cambio del preesistente Regno di Sardegna, così dal 1720 il Ducato divenne "Regno di Sardegna" finchè il 17 marzo 1861, il XXIV re di Sardegna, Vittorio Emanuele II di Savoia, proclamò la nascita del "Regno d'Italia".

Sebbene il Regno d'Italia ereditasse le leggi e la soggettività giuridica dello Stato piemontese, la realizzazione dell'unificazione nazionale fece dello Stato italiano una entità politica del tutto nuova frutto del Risorgimento italiano: dai moti carbonari alle rivolte mazziniane, dalla "primavera dei popoli" alla prima e seconda guerra d'indipendenza, alla spedizione dei Mille di Garibaldi.

Lo Statuto Fondamentale della Monarchia di Savoia del 4 marzo 1848, noto come Statuto Albertino, dal nome del re che lo promulgò, fu lo statuto costituzionale adottato dal Regno di Sardegna il 4 marzo 1848 a Torino. Il 17 marzo 1861, con la fondazione del Regno d'Italia, divenne la carta fondamentale della nuova Italia unita e rimase formalmente tale, pur con modifiche, fino all'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, il 1º gennaio 1948.

La natura flessibile dello Statuto Albertino potè garantire, sino agli anni 1920/21, un'evoluzione parlamentare del sistema politico senza rendere necessarie modifiche effettive al testo originale: gradualmente i Governi cessarono di dipendere dalla fiducia del Re, mentre divenne necessaria quella del Parlamento. Anche il Senato perse importanza di fronte alla Camera dei deputati, il Re tuttavia mantenne una particolare influenza sulla politica estera e su quella militare: basti pensare che la tradizione voleva che i ministri della Guerra e della Marina (provenienti dai ranghi militari) fossero designati dal Re al Presidente del Consiglio dei ministri.

Autoritarismo o democrazia Ecco i paesi più democratici del mondoL'evoluzione parlamentarista dello Statuto cessò completamente con l'avvento della dittatura fascista.

Diritti e doveri dei “regnicoli”

Carlo AlbertoLo statuto data l’epoca storica trattava alcuni innovativi principi.

Riconosce il principio di eguaglianza art. 24: «tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla Legge [...]. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammessi alle cariche civili e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi»).

 Riconosce formalmente la libertà individuale (art. 26), l'inviolabilità del domicilio (art. 27), la libertà di stampa (art. 28), la libertà di riunione (art. 32). 
 La religione "è quella Cattolica, Apostolica e Romana" (art. 1). Poco dopo verrà l'emancipazione prima dei Valdesi (17 febbraio- Lettere Patenti) e poi degli Ebrei (29 marzo) con il riconoscimento dei loro diritti civili e politici, infine con l'abolizione dei “privilegi” ecclesiastici a partire dal 2 marzo successivo con un decreto regio che cacciava i Gesuiti dallo Stato. 

Una legge di poco posteriore (Legge Sineo del giugno del 1848) aggiungeva che la differenza di culto non formava eccezione al godimento dei diritti civili e politici e all'ammissibilità alle cariche civili e militari.

Alcune regioni hanno origini e storie differenti

Fu anche un processo di annessioni territoriali, che continuò anche dopo la proclamazione del regno d’Italia con le guerre del 1866 e 1870, e del 1915-18 e che continuò fino alla seconda guerra mondiale, quando finita la guerra furono effettuate le ultime modifiche che hanno determinato gli attuali confini territoriali dello Stato italiano.

La democrazia È cristiana

La democrazia È cristiana

costituzione italiana coverIl 2 Giugno 1946, contemporaneamente alla consultazione popolare per eleggere i membri dell'Assemblea costituente, fu indetto un referendum per scegliere fra monarchia e repubblica. Risultarono favorevoli alla Repubblica 12.717.923 elettori, mentre 10.719.284 furono i voti favorevoli alla monarchia e 1.498.136 i voti nulli. 

L'assemblea costituente risultò composta da 207 deputati della Democrazia Cristiana, 115 socialisti, 104 comunisti su un totale di 556 deputati.
Di lì a poco avvenne uno strappo cruciale per il futuro dell’Italia “democratica”. Siamo al tempo del IV governo De Gasperi (31 maggio 1947- 23 maggio 1948) quando si consumò un avvenimento politico decisivo:

l'esclusione dal governo dei partiti di sinistra (socialisti e comunisti) quindi il passaggio da una situazione di collaborazione fra tutti i partiti antifascisti a una situazione di forte contrapposizione tra i partiti di governo (Democrazia Cristiana e suoi alleati) e i partiti di opposizione (costituiti a sinistra dal partito comunista e a destra dal Movimento Sociale Italiano formatosi nel '47 come erede ideale del fascismo).

Fu un mutamento determinante per lo sviluppo della democrazia italiana, causato da molti fattori ma i due più importanti  sono stati:

  • la situazione internazionale che si era determinata con lo scoppio della guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica e rispettivi alleati;
  • la scissione del Partito Socialista Italiano, detta scissione di palazzo Barberini, che determinò la nascita del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (in seguito Partito Socialista Democratico Italiano), nel quale confluì quasi la metà dei parlamentari socialisti eletti nell'Assemblea costituente appartenenti alla corrente socialdemocratica guidata da Giuseppe Saragat, il quale rimproverava al Partito Socialista Italiano legami troppo stretti con l'Unione Sovietica e un sostanziale appiattimento sulle posizioni del Partito Comunista Italiano, a differenza di quanto accadeva nel resto d'Europa dove i partiti socialisti avevano assunto posizioni autonome.

La conseguenza fu la cristallizzazione dei ruoli di alcuni partiti politici, destinati a restare o permanentemente al governo o permanentemente all'opposizione, bloccando qualsiasi ipotesi di alternanza politica e determinando una anomalia nella forma di governo parlamentare italiana.

Democrazia e retorica

Democrazia e retorica

La Costituzione della Repubblica italiana si compone di due parti: la prima enuncia una serie di principi costituzionali cui l'ordinamento giuridico deve uniformarsi, la seconda riguarda l'organizzazione costituzionale dello Stato e disciplina il ruolo e le funzioni del Parlamento, del Governo e del Capo dello Stato.
 
democraziaeretoricaLa democrazia si ottiene anche e sopratutto quando apparentemente piccoli tasselli del pensiero e dell’intelligenza umana raggiungono o si aggiungo in modo coerente ad una coscienza ed a una volontà diffusa e consapevole. Questo succede quando si esauriscono ed approdano alla legge le interpretazioni tra diritto e dovere dei singoli in aderenza ad un bene sociale diffuso e si giunge ad una applicazione diffusa e consapevole.
 
Ma non ci si può esimere dal conoscere e condividere gli strumenti che strutturano questo percorso.
Come ad esempio la retorica ed il suo utilizzo, sia nell'ambito del diritto e quindi nell’esperienza giudiziaria, che nel confronto politico e giudiziario.
 
Guardando ai primi esempi del passato nell'Atene democratica l’assemblea e il tribunale esprimono istituzionalmente il volere del dêmos: “Il popolo si è reso padrone assoluto di tutto, e governa ogni cosa con decreti dell’assemblea e con i tribunali, nei quali il popolo è sovrano” (Aristot. Ap 41, 2).
E questo avviene in entrambi i contesti, politico e giudiziario, differenziati sul piano delle procedure ma comunque caratterizzati da alcune significative affinità come: iniziativa del singolo; necessità di sostenere un dibattito sottoposto a votazione di fronte ad un uditorio di cittadini comuni che rappresenta il dêmos nella sua totalità; inappellabilità della decisione, la capacità di chi si rivolge al dêmos di convincerlo della validità della propria posizione politica (in assemblea) o della correttezza giuridica del proprio comportamento (in tribunale) sembra fondamentale.
Ed anche il verdetto del tribunale, reso a maggioranza e senza preventiva discussione da parte di giudici mancanti di specifica competenza legale e privi dell’assistenza di un giudice togato, appare in prima istanza esito della persuasione dell’uditorio operata da una delle parti in causa: pur non mancando affatto nel processo l’esigenza dell’accertamento del fatto. È l'efficacia della narrazione e capacità argomentativa dell’oratore che svolgono un ruolo essenziale nella conclusione favorevole di un procedimento giudiziario.

Vediamo allora degli esempi di comparazione sui “germi di democrazia” più contemporanei.

Democrazia e chiesa

La democrazia dello stato e democrazia nell’ordinamento della Chiesa Cattolica Romana

Non c’è dubbio sul fatto che la Chiesa cattolica più di altre religioni abbia a confrontarsi con istanze democratiche resilienti e presenti in molti diversi stati sovrani e ordinamenti costituzionali diversi.

In particolare per quanto riguarda l'Italia in cui ha per lungo tempo ha esercitato poteri temporali. Nell'epoca moderna il potere temporale ha permesso alla Chiesa cattolica di conservare l'unità e l'indipendenza, soprattutto nei confronti di Paesi vicini che avrebbero potuto strumentalizzare la protezione militare che offrivano alla Chiesa, e quindi esercitare su di essa un controllo o un vero dominio.

Lo Stato Pontificio ebbe termine il 20 settembre 1870: quel giorno l'esercito italiano entrò in Roma "Presa di Roma" conquistandola e annettendo lo Stato della Chiesa (ridotto al solo Lazio) al Regno d'Italia. Papa Pio IX si ritirò nel palazzo del Vaticano e si dichiarò prigioniero. La Legge delle guarentigie, approvata nel 1871, disciplinò unilateralmente i rapporti tra il Regno d'Italia e la Santa Sede. Oltre cinquant'anni dopo le due parti raggiunsero un accordo bilaterale: i Patti lateranensi del 1929. Alla Santa Sede venne riconosciuta la sovranità sullo Stato della Città del Vaticano, in modo da garantirle un'autonomia completa.

In effetti, anche le Chiese ortodosse e le Chiese protestanti (compresa la Chiesa anglicana), che non hanno mai esercitato un dominio diretto su un territorio, si sono spesso frammentate nel corso dei secoli in chiese nazionali, più o meno subordinate all'autorità civile.
Ma non solo anche al loro interno ci sono state diverse linee di governo e posizioni che ne hanno caratterizzato nel corso del tempo lo stato, si pensi anche solo a quelli riconosciuti dalla stessa chiesa, al ruolo degli ordini,  delle congregazioni, dei chierici, ecc.

Ad esempio guardando all’Italia e alla Germania di oggi si notano immediatamente molte posizioni in contraddizione che alimentano il discorso sulla democrazia.

Ecco un esempio divisivo ultimamente in auge: Sì/No alle donne prete?

I vescovi tedeschi, non proprio tutti ma sempre di più, chiedono che le donne possano essere ordinate prete.
Perché no? Gesù non l'ha mai vietato. E se i suoi apostoli erano tutti uomini, le figure più importanti nei Vangeli sono donne.
E chiedono anche che venga messa fine al celibato per i preti. In Italia la Chiesa romana , è da sempre la principale “guida” religiosa del paese.
 
La Repubblica Italiana in modo laico riconosce lo stato di diritto a molte altre confessioni religiose. 
Tra queste c’è anche la Chiesa Cattolica Ecumenica di Cristo nata negli Usa a metà del 1990, a iniziativa, «di sacerdoti e laici della Chiesa cattolica romana e altri riti cattolici alla ricerca di riforme e rinnovamento nelle Chiese, cercando il dialogo ecumenico attivo, promuovendo l’unità fra le Chiese cristiane». 
Dal Vaticano nessun riconoscimento ufficiale ma padre Karl il teologo fondatore, ha scritto qualche anno fa una corposa lettera al Papa e frequenta il Vaticano.

Mons. Agostino De Caro, sacerdote “ecumenico” in Licata, è stato nel 2018 nominato arcivescovo, consentendo l’elevazione della Comunità agrigentina ad Arcidiocesi Metropolitana della Diocesi d’Italia della Chiesa Cattolica Ecumenica di Cristo.

È nel 2019 che a Catania, seguendo alla lettera i riti di Santa Romana Chiesa per l’ordinazione presbiteriale, è consacrata la prima donna sacerdote in Italia, Raffaela Luciana Possidente, ora Madre Raffaela.

Accanto a Raffaela, per tutto il tempo, l’emozionatissimo marito Alessandro, titolare di un’impresa di ristrutturazione edile, che ha retto la casula e la stola che la moglie ha poi vestito al termine del rito: un’inclusione non per caso visto che, come ha detto l’officiante, «la vocazione di un presbitero sposato non può essere che condivisione con il coniuge e la famiglia. E questo vale, ovviamente, sia per l’uomo che per la donna». Accanto anche due dei tre figli, i suoceri, i parenti, i confratelli della stessa fede venuti da ogni parte di Sicilia e i fedeli che da tempo seguono Raffaela nella cappella privata, ricavata da un garage nelle vicinanze di casa, sulla collina di Vampolieri, intitolata a Santa Gemma Galgani. E a chiusura il messaggio che Madre Raffaela, tiene a veicolare attraverso la sua vicenda. 

«Donne che come me avete la vocazione di diventare sacerdotesse, fatevi avanti, abbiate coraggio: nella nostra Chiesa c’è spazio anche per voi. Non vi preoccupate delle prime reazioni degli altri rispetto a questa scelta: anche mio marito all’inizio non capiva il senso di una donna prete, ma poi mi ha accompagnata in questa scelta. Ecco, vorrei trasmettere coraggio».

In Germania è del tutto normale che le donne siano Pastor nella Chiesa di Lutero. I pastori hanno moglie, oppure un compagno che presentano alla comunità, o anche le pastore vivono con una compagna. Perché la Chiesa cattolica rimane attaccata al passato?

Sembra ovvio ma non è così ovvio, anzi. Ci sono esperienze di lunghi tratti di vita che non sono sempre molto gratificanti. 

Racconta una tedesca, figlia di un pastore, che ha sposato un pastore, da cui poi ha divorziato. Le signore della parrocchia che incontrava per strada, cambiavano marciapiede: «Mi chiamavano die Hexe», la strega.  Vuole scrivere un libro sulle esperienze sue e delle tre sorelle. Avrà titolo Die Tochter des Pastors küss man nicht, “non si bacia la figlia del pastore”. 
Quando a scuola i compagni scoprivano chi era suo padre, si tiravano indietro.
 
Il partner di un pastore ha un ruolo importante nella sua chiesa, svolge diverse mansioni, e dunque non potrebbe essere cattolico, anche se le norme variano da regione a regione. 
Il pastore è scelto dalla comunità, come dire assunto, e può venire licenziato. È normale che un pastore presenti il proprio partner, o compagno, e nel caso faccia outing. Quasi sempre i fedeli non hanno nulla in contrario.
In Germania si cominciò a parlare della possibilità che le donne potessero diventare pastore dopo la Grande Guerra. Molti pastori erano caduti al fronte, e in certe regioni la proporzione era di un pastore per diecimila fedeli. Due donne vennero ordinate nel '43, durante l'ultima guerra, ma fu un'eccezione, Si dovette attendere il primo ottobre del 1958 per ammettere ufficialmente le donne. 
E gli inizi non furono facili, molti fedeli opponevano resistenza, e i pastori avevano diritto di veto contro una donna al suo fianco come Vikarin, vicaria.
 
Le pastore erano obbligate al celibato, nonostante che l'Arbeitsgericht, il Tribunale del lavoro, avesse dichiarato questa clausola illegale in tutte le attività. 
Ma la Chiesa di Lutero si considerava ancora al di sopra della legge dello stato.
Una pastora moglie e madre, si riteneva, non avrebbe avuto tempo per i propri parrocchiani. Ancora negli Anni Sessanta le pastore volontariamente evitavano di sposarsi, oppure si dimettevano.
Il vescovo di Amburgo, Karl Witte, nel 1967 disse: «Le donne pastore non possono essere paterne, ma noi preghiamo Vater Gott, Dio padre».
La resistenza alle donne pastore era più o meno forte da regione a regione, e l'ultima ad arrendersi fu la cattolica Baviera, nel 1975.
Nel 1992 Maria Jepsen divenne la prima donna vescovo al mondo, ad Amburgo. Nel 1999, Margot Käßmann divenne a 41 anni vescovo a Hannover, e dieci anni dopo presidente della Chiesa luterana in Germania. Come dire la Papessa, ma è una forzatura, che irrita giustamente i protestanti.
Il presidente è eletto dai vescovi, e la carica è a tempo. Quando divenne Papa (chiaramente una forzatura ma rende l'idea), era divorziata da due anni e aveva quattro figlie. Rimase in carica un anno. Il 20 febbraio del 2010, alle 23, fu sorpresa al volante ad Hannover, con un tasso di alcol di 1,54, il triplo del consentito.
La comunità la perdonò, e anche i vescovi, capita a tutti, ma lei si dimise: «Non posso predicare bene, e comportarmi male».
I luterani non conoscono il perdono, che solo Dio può concedere, e non si perdonano. Peccato. Nel giugno del 2018 è andata in pensione.
Oggi, quasi un terzo delle parrocchie protestanti in Germania ha una pastora. E diventano sempre più numerose.

Sfumature di democrazia

 Sfumature di democrazia
L'Italia, continuiamo coattivamente a ripeterlo, è uno stato a governo democratico, parrebbe quindi ovvio che ai banchi del parlamento siedano regolarmente eletti, i rappresentanti del popolo, intenti a legiferare sulla democrazia e le sue forme, ed è così, ma ovviamente in varie sfumature di democrazia.
 
Ad esempio: Omofobia (legge sulla... del 2022)

C’era in Italia una opportunità di inserire un nuovo germe di democrazia ed è diventata una opportunità mancata, come si può allora riprendere un percorso verso una maggior tutela democratica delle vittime e dei carnefici? 

Si perché l’omofobia è un carattere dell’umanità che comprende atti di violenza estrema perpetuata da carnefici più o meno consapevoli verso vittime più o meno consapevoli ma che ne trarranno danni fisici e morali, anche alimentati da componenti di accettazione passiva da parte di larghi strati “protetti” e più o meno consapevoli.

La storia degli iter parlamentari è nota, spesso "così nota da essere taciuta". L’approdo definitivo di un percorso di legge è segnato dalla condivisione nei vari rami del parlamento e procede attraverso le insidie stesse presenti nel concetto di cultura democratica, dalle sue leggi e delle varie interpretazioni e liceità che ne conseguono. 
Si rimane costernati per le conseguenze prodotte da un semplice cavillo, interno all’ordinamento giuridico del senato, che ha consentito la negazione, la morte, ad un percorso di civiltà durato anni; limato in lunghe discussioni nelle commissioni parlamentari, passato al vaglio della Corte Costituzionale ed alla votazione alla Camera ed in attesa del giudizio del Senato. 
 
Ma questa è oggi la Democrazia. Il DdL Zan (dal nome del primo firmatario) è stato ucciso. Come? Da una “tagliola” prevista dall’ordinamento giuridico che consente al Senato e solo al senato (eletto democraticamente) ed ai suoi componenti (che rivendicano il loro ruolo di sinceri democratici) di evitare la discussione di una proposta di legge.
Lo hanno fatto con frettolosa votazione per impedirne la discussione finale. quell’ultimo passaggio che avrebbe portato all’approdo un cammino di civiltà che aveva fino ad allora superato tutti gli ostacoli. 
Grazie soprattutto al voto segreto, che ha permesso di esprimere il dissenso a singoli parlamentari appartenenti a gruppi che si erano espressi per favorevoli, ed alla palese assenza di parlamentari di gruppi, che si erano fino a quel momento dichiarati favorevoli. 

Ddl Zan rivediamone didascalicamente la storia.

Origine

Il ddl Zan si riallaccia alla Legge Mancino del 1993, che sanziona incitamento all’odio, violenza e discriminazioni per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali, tralasciando però comportamenti analoghi causati da omotransfobia e misoginia. 

La nuova legge 

Vorrebbe estendere le tutele, modificando gli aspetti sanzionatori previsti dall’articolo 604-bis del codice penale per chi “istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”, aggiungendo “oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”. Per quest’ultimi reati una modifica all’articolo 604 ter prevederebbe la circostanza aggravante.

Tra gli obiettivi della legge c’è inoltre l’istituzione della «Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia», da celebrare il 17 maggio.
 Il titolo completo del ddl Zan è ”Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità
E mira ad ampliare le tutele in favore di coloro che sono più soggetti ad episodi di violenza e discriminazione: omosessuali, transessuali, donne e disabili. Prende il nome dal relatore, ovvero il deputato del Pd Alessandro Zan, attivista Lgbt noto soprattutto per aver promosso ed ottenuto il primo registro anagrafico italiano delle coppie di fatto, aperto anche a quelle omosessuali.
Nel Ddl troviamo dieci articoli di cui il primo fa chiarezza e definisce i termini di “sesso”, “genere”, “orientamento sessuale” e “identità di genere”. 
Il secondo  modifica l’articolo 604-bis del codice penale e il terzo articolo ne precisa l’aggravante. 
L’art. 4 (“Pluralismo delle idee e libertà delle scelte”), la cosiddetta clausola di salvaguardia, garantisce la libera espressione di convincimenti od opinioni. 
L'articolo 5 allinea il ddl Zan alle altre norme di legge alla stessa fattispecie, come la Legge Mancino.
L'art. 6 modifica l'articolo 90-quater del codice di procedura penale sulla condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa, mentre l'articolo 7 istituisce la Giornata nazionale contro l’omotransfobia. 

L’iter legislativo e l’arma fumante al senato

Con 265 voti favorevoli, 193 contrari e un astenuto, il ddl Zan viene approvato il 4 novembre 2020 dalla Camera dei Deputati. Poi rimane bloccato in Commissione Giustizia al Senato: il relatore, Andrea Ostellari, presidente leghista della Commissione, è fortemente contrario alla proposta.

Dopo mesi di temporeggiamenti il ddl approda in Aula al Senato, ma qui lo attende la bocciatura definitiva. La Lega e Fratelli d'Italia propongono di ricorrere alla cosiddetta "ghigliottina o tagliola politica", una procedura speciale che fa riferimento in particolare all'articolo 96 del Regolamento del Senato. Articolo modificato dal Senato il 20 dicembre 2017. Di due articoli:

1. Prima che abbia inizio l'esame degli articoli di un disegno di legge, un Senatore per ciascun Gruppo può avanzare la proposta che non si passi a tale esame.
2. La votazione della proposta ha la precedenza su quella degli ordini del giorno. 

La proposta è accolta e il Senato, a scrutinio segreto, ha votato a favore di quella che da allora sarà definita “tagliola”: ossia è stato bocciato l’esame del testo. A favore, 154 senatori, 131 i contrari e due astenuti. Presenti 288 senatori su 321 totali.

Gruppo parlamentare

Seggi

Movimento 5 Stelle

74

Lega-Salvini Premier-Partito Sardo d'Azione

64

Forza Italia Berlusconi Presidente-UDC

50

Misto

48

Partito Democratico

39

Fratelli d'Italia

21

Italia Viva-P.S.I.

15

Per le Autonomie (SVP-PATT, UV)

8

I senatori assenti al momento del voto sono stati 32, rispetto al totale di 288 presenti. Di questi ultimi, un senatore non ha partecipato al voto, pur essendo fisicamente in aula.

Riguardo alle assenze, il gruppo più numeroso risulta il Misto a quota 16, rispetto al numero complessivo di 49 senatori, cioè la metà di tutte le assenze. In più mancavano 4 parlamentari del M5s sul totale di 74, 2 della Lega su 64, 3 di Forza Italia su 50 in tutto, 2 del Pd su 38, 4 di Italia Viva sul totale di 16 e uno del gruppo delle Autonomie. Unico gruppo presente al completo è quello di Fratelli d'Italia con 21 senatori.
 
Difficile anche pensare che davvero tutta Italia Viva si sia defilata in blocco. 
 Ma il dato è un altro: se anche il partito di Matteo Renzi (nel frattempo su un volo per l’Arabia) fosse stato compatto nel votare contro la tagliola, si sarebbe arrivati a circa 140 voti, non ai 149 previsti dal centrosinistra. E allora è successo qualcosa di diverso. Forse Italia viva ci ha messo del suo, ma probabilmente ci sono stati anche dei franchi tiratori nel Partito Democratico e nel Movimento 5 Stelle.
Fra i pentastellati infatti ci sono alcuni senatori convinti: "Ma si sapeva che qualcuno di noi avrebbe fatto di tutto per non far passare il Ddl Zan". 

Insomma, intorno alla legge Zan, sembra essersi compattato quello che La Russa ha definito "nuovo centrodestra". Non c'è più la maggioranza di centrosinistra. Forse il segretario del Pd Letta pensava di averla in pugno e invece, quando si tratta di segnare il punto della vittoria, sbaglia a porta vuota.

Non è bastato neppure il voto in dissenso di Barbara Masini, la senatrice di Forza Italia che a luglio aveva fatto coming out, raccontando nell’Aula del Senato di avere una compagna: "Io sono una persona che appartiene alla comunità Lgbt. Ho messo la mia storia in piazza, l’ho fatto in un momento non semplice, ma sentivo la necessità di dare questo contributo e speravo che una parte politica, con coraggio, mettesse mano ad alcune posizioni e fosse più conciliante". 
Parla del Pd che non ha voluto mediare. "Io ho votato in dissenso, ma non sono delusa dal mio gruppo perché non ho mai ricevuto imposizioni. Io non sono un franco tiratore perché ci metto la faccia, con coerenza verso la mia parte politica. Ho sempre detto cosa avrei fatto, l’ho comunicato e mi sono confrontata. Ne avrei eventualmente pagato le conseguenze ove vi fossero state, ma la mia presidente Anna Maria Bernini è persona capace di comprensione e profonda intelligenza".
 
Ma il voto di oggi non ha lasciato il partito di Berlusconi senza crepe. 
Il deputato di Forza Italia, Elio Vito ha pubblicato su Twitter la sua lettera di dimissioni al presidente Berlusconi da responsabile del dipartimento Difesa e Sicurezza di Forza Italia, "dopo che è stato annunciato al Senato il nostro voto favorevole al non passaggio agli articoli del ddl Zan. Su un tema che riguarda direttamente anche la sicurezza, Forza Italia ha manifestato, anche nei pochi voti che si sono sin qui stati al Senato, la sua contrarietà. Mi riferisco al ddl Zan, che contrasta proprio odio, discriminazioni e violenze", scrive Vito nella missiva. "Per coerenza quindi con le mie convinzioni, che mi portarono a votare a favore della proposta di legge alla Camera, quando pur nella posizione contraria del gruppo, fu garantita comunque la possibilità di votare secondo coscienza, a malincuore rimetto l'incarico che mi hai affidato", conclude rivolgendosi al leader azzurro Silvio Berlusconi.

Qualcuno ci prova a far prevalere la forza all’amarezza, annunciando di non voler mollare. "Noi la presenteremo di nuovo" ha detto Faraone, ma intanto l'Italia dovrà aspettare ancora per una norma che punisca l'odio contro i gay. Il Ddl Zan è finito, almeno per questa legislatura. 

Ostellari SalviniOstellari e SalviniLo conferma anche la pentastellata Maiorino quando, a domanda, risponde che "pensare di ricominciare una battaglia del genere, praticamente daccapo, in Commissione Giustizia, dove permane il Presidente Andrea Ostellari (Lega) come dominus assoluto è impossibile”.

 

I punti controversi della proposta di Legge

L’equivoco sull’identità di genere

Il disegno di legge definisce l’identità di genere come “l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”. Ma la Lega, così come tutto il centrodestra, è contraria al concetto di identità di genere.

Il tema della libertà d’espressione

Nonostante il contenuto dell’art. 4, secondo i suoi detrattori il ddl Zan sarebbe inoltre un bavaglio per le opinioni personali. Ma la legge non ostacolerebbe la libertà di espressione: la punibilità scatterebbe solo in caso di concreto pericolo di azioni discriminatorie o violente. Ad esempio, la propaganda contro la comunità Lgbt+ non sarebbe punibile.

I due punti contestati dalla Chiesa

Nel dibattito è entrata anche la Chiesa: per il Vaticano, il ddl Zan violerebbe il Concordato, cioè il documento che regola il rapporto fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, aggiornato per l’ultima volta nel 1984. Per questo, la Santa Sede ha chiesto formalmente la modifica del disegno di legge.

I sacerdoti potrebbero essere perseguitati?

Secondo la Santa Sede “alcuni contenuti della proposta legislativa avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa e ai suoi fedeli”. 

Tra le preoccupazioni espresse dal Vaticano sono le possibili ripercussioni giudiziarie a carico di fedeli e sacerdoti contrari, ad esempio, a matrimoni omosessuali, adozioni gay e cambio di sesso. Ma il ddl Zan non prevede alcuna sanzione per i sacerdote che vorranno fare “campagna” contro l’equiparazione dei diritti delle coppie omosex rispetto ai diritti della cosiddetta famiglia tradizionale.

Le scuole private “costrette” a celebrare la giornata contro l’omotransfobia?

Il Vaticano è molto critico su questo passo perché le scuole cattoliche non sarebbero esentate dalle attività previste in occasione della Giornata nazionale contro omofobia, lesbofobia, bifobia e transfobia. Alessandro Zan, ha però ben spiegato che l’articolo 7 “si inscrive in un quadro segnato dal principio di autonomia scolastica, che è generale e si applica a tutte le scuole, pubbliche e private”

Le Leggi in Europa

Nella maggior parte d’Europa i crimini d’odio sono estesi a orientamento sessuale e identità di genere. L'Italia è tra pochi paesi a non avere una legislazione ad hoc: 

La Norvegia ha avuto una prima legge addirittura nel 1981 (e dal 2020 ha incluso per i reati d’odio anche le persone transgender e i bisessuali). 
In Francia la prima legge risale al 2003, con il presidente di centrodestra Chirac. Jean-Marie Le Pen, fondatore del Front National, è stato multato per aver paragonato omosessualità e pedofilia.
Nel Regno Unito il fenomeno ha rilevanza penale nell’ambito dei cosiddetti hate crime. 
In Svezia chi minaccia o discrimina gli omosessuali rischia fino a 4 anni di carcere e dal 1995.
Sono previste sanzioni anche in Spagna

Ma sono solo alcuni esempi: esistono tutele (e quindi sanzioni) per questo genere di discriminazione anche in Grecia, Portogallo, Belgio, Finlandia, Croazia, Irlanda, Islanda, Albania, Montenegro, Bosnia, Macedonia, Kosovo ed in Ungheria.

 

Questo è un esempio di democrazia, in uno stato democratico e sovrano

Era una legge che avrebbe dovuto alzare le barriere a difesa della comunità gay e trans contro i crimini d’odio, non solo non passa ma viene definitivamente demolita. Come? Con un regolamento interno alle funzioni del senato della repubblica.
E non può essere ripresa l’indomani come se bastasse girare una pagina e amici come prima. 
Il regolamento del Parlamento prevede che quel testo venga stracciato e che si possa ricominciare a parlare del tema, ma non prima di sei mesi e comunque con una nuova legge, ripartendo dalla Camera. Dunque non c’è speranza. È un addio alla legge Zan.

Ognuno da colpa all’altro

È la fine di una guerriglia parlamentare perché è quella l’impressione a vedere le reazioni. 
In Aula c’è il fronte di destra che esulta con applausi a scena aperta e c’è chi invece esce carico di rabbia per un esito inaspettato. 
Il risultato è un continuo rimpallo di responsabilità fra i partiti. Monica Cirinnà (Pd) ha commentato: "Il centrosinistra della maggioranza Conte è finito, adesso il centrosinistra riparte da Pd, Leu, Sinistra Italiana e M5s. La maggioranza Conte è sotterrata". 
E Italia Viva? "Non lo so, guardate il pallottoliere e vedete voi, non lo so davvero. Ma questo deve essere chiaro: il testo è finito, non c’è possibilità di recuperarlo né in aula né in commissione". 
Più netto il papà della legge, il deputato democratico Alessandro Zan, che punta il dito contro renziani e berlusconiani: "Una forza politica si è sfilata dalla maggioranza che c'era alla Camera e ha flirtato con la destra sovranista, inoltre Forza Italia si è compattata con la destra sovranista dimostrando di non essere una forza liberale vicina ai diritti". 
La forza politica non citata è Italia Viva. La stessa a cui fa riferimento la capogruppo Pd al Senato Simona Malpezzi.

Accuse rimandate al mittente dal Presidente dei senatori di Italia Viva, Davide Faraone: "Pd e M5s dovrebbero passarsi la mano sulla coscienza e ammettere che hanno sbagliato a costringere il Senato a contarsi col voto segreto e dovrebbero chiedere scusa ai tanti cittadini che aspettavano questa legge, che ormai rischia di non vedere la luce in questa legislatura". 

Faraone dunque non ci sta e, anzi, rilancia la responsabilità proprio nei confronti di chi "ha compiuto l’errore di trasformare una battaglia di civiltà in uno scontro ideologico fra partiti per guadagnare qualche punto percentuale nei partiti”.
C’è grande amarezza anche e nel Movimento 5 Stelle. Dopo la sconfitta, tra le prime a lasciare l’Aula è la senatrice Alessandra Maiorino, che lancia una stoccata agli alleati del Pd: "Politicamente io sono nuova, questo è il mio primo mandato, ma è tutto molto strano, abbiamo lasciato che le cose fossero condotte da chi aveva più esperienza di noi, anche più credibilità nel mondo Lgbt come il Pd e questo è stato l’esito. Sono molto amareggiata".

Nel frattempo non bisogna dimenticare che è ancora in corso la proposta del centrodestra di governo

Resta depositata in commissione giustizia al Senato la proposta del centrodestra firmata dalla forzista Licia Ronzulli e da Matteo Salvini

È un disegno di legge unitario sull'omofobia di tutto il Centrodestra che sta in maggioranza, un testo alternativo a quello condiviso da tutto il Centrosinistra e a firma Alessandro Zan. 
Se la Commissione Giustizia del Senato ha comunque deciso 12 voti a 9 di scegliere proprio il testo Zan come base di partenza della discussione, tra le proteste di tutto il Centrodestra, compreso Fratelli d'Italia, la polemica comunque va avanti perché riguarda anche le differenze sostanziali che ci sono fra le due proposte. 
Secondo lo stesso Zan, il disegno di legge del Centrodestra è pasticciato e rischia di entrare in conflitto con la legge Mancino, che già interveniva sui reati fondati su etnia, nazionalità e religione. Il Centrodestra invece rivendica come necessaria la sua azione proprio per superare le polemiche su un testo che ritiene ideologico e anche pericoloso sul fronte del rispetto del diritto di opinione. 
Le principali differenze riguardano la questione del gender, nel testo di Centrodestra non ci sono riferimenti ai transgender e soprattutto non esiste la specifica contenuta in quello Zan sull'identità di genere, come identificazione percepita di se anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall'aver concluso un percorso di transizione. Una delle accuse del Centrodestra è che questo, riguardando anche i minori, non sia accettabile. L'altro punto di divergenza importante è che mentre Zan interviene sull'articolo 604bis del codice penale, potenziando la già prevista aggravante per odio, il Centrodestra agisce sull'articolo 61 che prevede aggravanti generiche da cui anche la differenza delle pene, raddoppiate dal DDL Zan e aumentate invece di un terzo dal testo del Centrodestra.
 
Ed ora il centrodestra ha la strada spianata per un rilancio. Il testo (precedentemente scartato dalla Corte Costituzionale) propone una modifica all’articolo 61 del codice penale, introducendo le aggravanti legate a etnia, credo religioso, nazionalità, sesso, orientamento sessuale e disabilità. 
Gli altri due articoli, invece, descrivono «l’apparato repressivo, attraverso la predisposizione di un sistema di “blindatura”», che limita, cioè, «il potere del giudice di bilanciare tale aggravante con eventuali attenuanti».
Ecco il testo del disegno di legge presentato del centrodestra di governo, che prevede un'aggravante rispetto a quelle previste dall'art. 61 del Codice penale.
 

Democrazia Globale

La dinamica che si ripete nella storia è quella di un trapasso da un impero ad un altro, da una egemonia all’altra. Questo potere, dai tempi di Agamennone, è esercitato con la paura e la repressione, è imposto con la violenza della forza bruta, con la subordinazione di ogni fine od azione all’utile: drammatico esempio ne sia il modo con cui Atene liquida la questione dei Melii o punisce, attenta a conservare il proprio dominio, la sedizione di Mitilene. Quando questo potere non è compiutamente attuabile, come nella situazione antecedente la guerra del Peloponneso, dove una potenza, Atene, dovrebbe sferrare l’assalto decisivo al potere egemonico tramite l’annientamento di Sparta, una guerra, al termine della quale si crei un nuovo equilibrio, è indifferibile.

Per Platone, d’altronde, la dinamica delle vicende greche è soggetta ad una divenienza costante. Per spezzare questo ciclo di pervertimento e distruzione delle istituzioni, anche per lui esiste un’egemonia da conquistare, un potere che si eserciti, almeno inizialmente, con la paura; ma a questa violenza della ragione deve corrispondere la nascita di individui nuovi, di cittadini consapevoli, in una città pacificata e ordinata. Fra i Dori solo Sparta si è conservata immutata, le altre città sono scivolate nel vizio e nella corruzione; Atene, dopo l’eroica impresa contro i Persiani, si è parimenti distolta dal cammino che porta alla costruzione della città ideale; i Persiani stessi, oltremodo potenti, hanno dilapidato il loro primato, per via di divisioni interne.

Non resta da sperare che una “nuova” Sparta, rigenerata dall’opera dei “migliori”, possa rifondare l’egemonia del governo della giustizia, della Virtù e del Bene.

Platone riconosce la necessità della divisione del lavoro, le spinte all’associazione politica derivanti dal bisogno, ma sembra ritenere la ricchezza un fattore potenzialmente corruttore, ignorando, forse, che i mutamenti sociali e politici sono dominati dalle espansioni economiche e dall’organizzazione della produzione e del lavoro. L’esempio spartano, tuttavia, e cioè quello di una potenza continentale, che basava la sua economia su un approvviggionamento di beni pianificato e delegato ai contadini sottomessi, i perieci, e agli schiavi, gli iloti, che non conosceva il commercio, che non aveva flotta, che confidava nella potenza di una società militarizzata e gerarchizzata, poteva valere come contro esempio.

La dinamica reale della storia era, dunque, imprevedibile, ma le proprietà invarianti di essa non erano soggette a mutamento.
La storia, si può dire che abbia dato ragione a Tucidide: di lì a poco un nuovo impero sarebbe nato, sulle ceneri di una Grecia divisa e distrutta dalle guerre fratricide. La dinamica è, dunque, la storia analizzata nelle sue articolazioni logiche, nei suoi passaggi dal necessario al necessario, è l’empirico spogliato della sua contingenza singolare e ricondotto, di evento in evento, alla sua natura stabile e ricorsiva. 

Tucidide, LA GUERRA DEL PELOPONNESO, V secolo A.C.

“Vogliamo estendere il nostro dominio su di voi senza correre rischi e nello stesso tempo salvarvi dalla rovina, nell’interesse di tutti!” - dissero gli Ateniesi.

“Come potremmo avere lo stesso interesse: noi a diventare schiavi e voi a essere padroni?” - obiettarono i Meli.

“Perché voi avrete interesse a sottomettervi prima di subire gravissimi danni, e noi avremo il nostro guadagno a non distruggervi completamente.” - risposero gli Ateniesi.

“Sicché non accettereste che noi restassimo in buona pace, amici anziché nemici, conservando la nostra neutralità?” - obiettarono ancora i Meli.

“La vostra amicizia ci danneggerebbe più di un’aperta ostilità. Agli occhi dei popoli che dominiamo, l’amicizia diventerebbe una prova di debolezza da parte nostra, mentre il vostro odio testimonierebbe la nostra potenza!” - fu la feroce risposta degli Ateniesi.

 

 

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Mai riuscito a rispondere compiutamente alle uniche importanti domande della vita: “quanto costa?”, “quanto ci guadagno?”. Quindi “so e non so perché lo faccio …” ma lo devo fare perché sono curioso. Assecondami.

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