Internet al tempo del coronavirus o il coronavirus al tempo di Internet?

Quale Internet ci fa impazzire per primo si chiede  Luca Manduca da Catania girovagando con la mente in una Milano stravolta dalla pandemia, dagli errori commessi nella gestione dell’emergenza e dalla solitudine.

La pandemia in giro per il mondo/Il Coronavirus, visto da Milano

Confida Luca Manduca autore di questo articolo: nelle ultime settimane, mentre i singoli membri nelle coppie e nelle famiglie numerose non sanno più come ritagliare per sé un angolo di casa, i single affrontano un insolito e inedito stato psicologico: e mo’ che faccio? 

 milanCome si vive a Milano al tempo del Coronavirus? Impossibile non saperlo, tranne che ci si sia crioconservati per tempo.
Comunque stare sul campo di battaglia è cosa ben diversa che farsene un’idea grazie ai soliloqui dei mezzi busti protagonisti di tg e special giornalieri. E scoprire com’è che se la passino i milanesi in questi giorni è un’esperienza che ha a che fare con gli studi comparativi per chi ritorna nel capoluogo lombardo.

Esiste una fetta di popolazione che, per ragioni non rinviabili, dal Sud dello Stivale è dovuto (deve o dovrà a breve) rientrare al Nord, dopo quasi due mesi di reclusione.

Ogni giorno ne raccontano una nuova sugli errori commessi nella gestione dell’emergenza coronavirus a Milano e in tutta la Lombardia. Infatti, la Federazione regionale dell’Ordine dei medici ha messo sotto accusa i vertici della sanità lombarda per “assenza di strategie relative alla gestione del territorio", per aver interpretato la situazione solo nel senso di un’emergenza intensivologica, rimarcando quanto la sanità pubblica e la medicina territoriale siano state per molti anni trascurate e depotenziate.

Critiche a parte (che a iosa non mancheranno di essere diffuse nei prossimi giorni), nessun provvedimento restrittivo ad personam ha costretto i fratelli meridionali a trattenersi nell’ex Regnum Siciliae, perché la prolungata permanenza ai piedi dell’Etna o al centro della Conca d’oro era ed è giustificata dal generale lockdown che ha ottenuto un’applicazione particolarmente vigorosa, soprattutto in Sicilia per volere del governatore Musumeci. Per l’incolumità di tutti, ovviamente

Pertanto, c’è chi era giunto temporaneamente a Catania per gioiosi motivi familiari, per poi accorgersi che rincasare a Milano sarebbe stato parecchio difficile.
I voli di rientro venivano più e più volte cancellati e altrettante volte ripianificati, sempre con un insuccesso, perché il diretto Catania-Milano sparisce dalle ordinarie e gettonatissime rotte.
Alla fine si rinuncia all’originario volo e si ripiega per un Catania-Roma-Malpensa. Poco male, solo tre quarti di giornata (anche grazie al Malpensa express dilatato a un treno l’ora) per raggiungere il proprio appartamento milanese.

Quale Milano trova il terun rincasato?

Prima di far procedere questo articolo sulle orme della Milano non più da bere ma da vivere in casa, occorre premettere e insistere sul tipico vissuto di un siciliano ligio ai decreti del Consiglio dei Ministri.
Già da fine febbraio il luogo comune dei terroni che pensano spesso o sempre al cibo si è rafforzato.
Per chi è rientrato tra i fortunati che hanno mantenuto il posto di lavoro grazie allo smart working (che si può anche tradurre in lavoro prossimo alle ore 24), è pressoché impossibile saltare un pasto o non inserire tra colazione, pranzo e cena, anche la seconda colazione, lo spuntino, la merenda e l’aperitivo con stuzzichini a base di caponata.

Fai movimento fisico, suggeriscono amici e parenti (che magari mangiano pure il triplo del necessario) e perfino gli spot socialmente utili (e velatamente) minacciosi in TV; ma alla fine e nonostante le più buone delle intenzioni, l’ambizione di tenersi costantemente in forma nella pratica si rivela un’ardua impresa.

Ne consegue che ci si sente un po’ ridicoli nello svolgere piegamenti e flessioni, o a osare di trasformare in addominali i “lardominali”. C’ho provato, ci si ripete davanti allo specchio, consolandosi subito dopo con un pezzo di cioccolata, perché si crede di averlo meritato al termine di un unico ma grande sforzo ginnico patito.

Le settimane volano via, in un modo o nell’altro, tra una strisciata di pane sul ragù residuo nel piatto e mezzo finocchio che (così dicono) fa digerire perché ha tante fibre, e arriva il momento di ritornare a Milano.

Atterrati alla aeroporto di Malpensa una sorta di telecamera termica registra la temperatura dei passeggeri e ognuno, tra sé e sé, dice che qui forse sarà diverso.
E invece no. Per chiunque il mezzo di informazione principe, la televisione, diventa fonte di luce perenne e dà chiarore al ritmo delle ore che, una dopo l’altra, detta l’andazzo della giornata. E da questa sorgente di news provengono sapienti consigli su come far trascorrere il tempo in casa.
 
Peccato che la profusione visiva e sonora in questione sia costruita massimamente intorno alla famiglia nucleare: mamme impegnate coi propri figli che seguono lezioni online, rivisitazioni di gruppo dei giochi di società, cori patriottici strillati dallo stesso balcone, lavori di squadra in giardino, coppie di nonni in videochiamata coi nipotini, vecchie pubblicità di grigliate partenopee sul terrazzo, incoraggiamenti e buoni propositi per il post-corona attraverso l’immagine di genitori con prole che passeggiano lungo la battigia di una spiaggia da sogno.
Perché (come dice la réclame) in casa c’è sempre qualcuno con cui lavorare, giocare, studiare. Oppure no? No, non sempre.

Un siparietto di Teresa Mannino, la nota comica palermitana, sul suo rapporto coi milanesi recitava che a Milano “se sei da solo, se non hai amici, se tutti corrono, se nessuno ti considera, non è solitudine… è indipendenza”.

L’indipendenza milanese sbandierata con fierezza oggi presenta i suoi effetti collaterali.
A Milano c’è una moltitudine di monolocali per lo più abitati da single e questo è un fatto: mentre i dati elaborati dall’anagrafe del Comune registrano seimila famiglie composte da sei o più persone, si certifica anche che i single sono oltre quattrocentomila, più del doppio delle coppie.

Nelle ultime settimane, mentre i singoli membri nelle coppie e nelle famiglie numerose non sanno più come ritagliare per sé un angolo di casa, i single affrontano un insolito e inedito stato psicologico: e mo’ che faccio? 

Tra le quattro mura delle micro-abitazioni, molte delle quali prive di un balcone o un affaccio degno di consentire l’illusione di uscire fuori dal proprio loculo, il vissuto del single al tempo del coronavirus è tutt’altro che di facile gestione. Le opzioni di fuga non sono molte: o si va al supermercato o si va a correre intorno allo stabile. E pur di pigliare una boccata d’aria (sanificata dopo il brusco calo del tipico PM10 meneghino) ogni scusa è buona per mettersi in fila all’Esselunga, al Carrefour, al Penny market, al Lidl o al negozietto dell’asiatico che solitamente si evita perché fa il prezzo che gli pare.

Si acquista un rotolo di carta igienica per volta o un frutto per volta, la confezione di candeggina o di alcol etilico sono introvabili ed è cosa buona e giusta, perché grazie a questa non rara eventualità si può afferrare un’ulteriore scusa per uscire di casa più tardi o l’indomani. Oppure ci si rende improvvisamente conto di essere dei podisti incalliti, di quelli che non badano al gelo e all’uragano, anche se la corsetta al parco fino a ieri era solo un’ipotesi paventata, sempre rimandata, mai realizzata; invece per merito delle restrizioni alla libertà di circolazione è possibile... no, è doveroso... no, è obbligatorio per non dire vitale, scendere in strada per andare a correre. Chissà quanti di questi novelli maratoneti proseguirà il sano hobby della corsa al termine dell’emergenza nazionale covid-19.

Restare in casa non è un mero hashtag, bensì e prima di ogni cosa è una condotta da tenere per volontà di un provvedimento normativo che, in quanto tale, dev’essere rispettato.

Gli esperti conclamati e gli opinionisti pressoché improvvisati che, dal mattino fino a tarda notte, ripetono di stare in casa, di indossare le mascherine e i guanti, di lavare spesso e bene le mani, discutono anche e molto delle implicazioni economiche derivanti dall’inattività produttiva; però poco o nulla è detto sulle conseguenze psicologiche di chi è costretto a rimanere nella propria abitazione, frequentemente in solitudine.

Il messaggio di mantenere e rafforzare l’isolamento diffuso dai media, oltre che sempre più incalzante, è ormai divenuto ipnotico. “Io resto a casa” è un mantra impossibile da evitare; persino il cellulare, tra il residuo di batteria e il segnale 4G, lo ricorda qualora si presentasse la possibilità di un’amnesia transitoria.

Nel mezzo della prima pestilenza della Repubblica italiana, come appare Milano al figliol prodigo meridionale rientrato nel cuore economico padano?
È strana, è senza auto in giro, è senza la gente che corre per prendere il tram che sta passando alla fermata o che si scapicolla dalle scale della metropolitana per salire sul treno che sta per ripartire. Milano è senza i suoi bar aperti, è senza la sua velocità e le sfaccettature che la tipizzano. Milano è come tutte le altre città e paesini d’Italia, assolata da questa calda primavera e con file lunghissime di persone davanti ai supermercati e alle farmacie. Milano è spaventata, né più né meno.
 
Ciò che terrorizza di questa surreale reclusione da virus non è la sua lunghezza, apparentemente interminabile, ma al contrario la prospettiva che un giorno o l'altro finisca. Viviamo un momento, unico nell'esperienza di ciascuno, nel quale la vita non chiede assolutamente nulla. Non può chiedercelo.
Le generazioni umane che oggi calpestano il pianeta non sono sottoposte ad alcuna pressione, richiesta o aspettativa che abbia a che fare con l’ordinario.
La vita, per una volta, non ci sta chiedendo di prendere scelte, di fare progetti, di gestire situazioni, di affrontare problemi, di adottare un certo atteggiamento o una qualche posa. Non ci vengono assegnati compiti, scadenze, occupazioni. È tutto interrotto: tanto le cose belle, quanto quelle brutte.

Stare al mondo attualmente è l’inaspettata occasione di vivere fuori della vita per un certo periodo. In questo momento siamo esonerati da tutto e da tutti, perfino dal soffocante impegno di dover incontrare, vedere, parlare, tenere rapporti perché la vita in questo periodo non ce lo chiede. Non lo può chiedere, perché non esiste un futuro su cui esercitare le conseguenze di queste scelte dettate dall’alto. È tutto congelato, tutto fermo.

Eppure qualcuno vuol far passare tutto questo per una pseudo vacanza. Invece non c’è niente che possa far pensare a una vacanza, non solo perché stiamo seduti sul tragico decesso delle persone che ci circondano, ma soprattutto perché le ferie sono strutturate entro un termine di inizio e di fine, costringendoci a vivere fin da subito con il pensiero consapevole che si tratta di una pausa, di un intermezzo, al cui termine ci attende la vita di tutti i giorni con le sue penose occupazioni.

Tutto sarà come prima o nulla sarà come prima? Domani è completamente ignoto e indeterminato. 
Davanti a noi, per una volta, non c’è assolutamente niente di noto; ma la nostra mente non sa vivere in questa ampiezza, non sa godere della vertigine di questa “libertà” così lontana da ciò che chiamiamo normalità, perché si sente il bisogno di poggiare i piedi sulle confortanti angosce quotidiane. 
Nondimeno c’è anche chi indugia, incredulo della natura dei pensieri che affollano la propria mente in questi giorni, sulla vergognosa speranza che questa quarantena non finisca mai, perché poi si rientrerà nella vita di prima e non ci saranno più scuse per uno stop.

Per chi in questi giorni è solo, letteralmente senza manco un cane da portare fuori a passeggio, la sopravvivenza psicologica è messa a dura prova. Se si è soli, con gli amici e la famiglia distanti, cosa resta da fare nella condizione di privazione di ogni possibilità di socializzare? Mai come prima di adesso un karaoke o un aperitivo online può davvero rappresentare la soluzione innocente alla solitudine da coronavirus.

Il ripiegare in modalità online molte delle attività conviviali e aggregative è un fenomeno non proprio recente, ma che circa un mese fa è esploso in mania (pardon) virale. Mania sì, ma anche necessità per spezzare il tempo trascorso in isolamento.

Feste e persino balli di gruppo vengono rivisitati e affrontati davanti allo schermo del pc. E al rigore delle misure per la salvaguardia della salute pubblica si accosta la caciara via chat, social, etc. 

Lo spirito di conservazione della specie umana ha innestato nel tempo trascorso in casa una maniera nuova di far vita sociale, realizzando la possibilità d’incontrarsi in un’ottica salutista. In rete è tutto un germogliare di idee aggreganti: le discoteche invitano a collegarsi sui social, a una specifica ora, per ascoltare la musica selezionata dai dj preferiti, simulando una pista da ballo; con houseparty gli amici potranno intonare “buon compleanno” al festeggiato e brindare come se si stesse veramente insieme; e poi… l’intramontabile karaoke fa scatenare online ugole d’oro e di bronzo, per la felicità dell’udito arrugginito dei vicini intrappolati in casa.

milano corona

La storia ci insegna che da ogni tragedia nasce un nuovo inizio. Diversamente dalle pandemie dei secoli scorsi, ora dalla nostra parte abbiamo la scienza e i numerosi e notevoli progressi che questa ha compiuto.

Forse il modo migliore per affrontare questa situazione assolutamente inedita è sfruttarla per riflettere e studiare per capire meglio noi stessi. Nell’attesa di questo lavorio cerebrale e nell’indeterminatezza temporale di quest’era virulenta, c’è da porsi due ulteriori interrogativi: internet al tempo del coronavirus o il coronavirus al tempo di internet? Chi ci farà impazzire per primo?

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Luca Manduca
È nato a Catania nel 1974. Maestro d'arte e grafico pubblicitario, laureato in giurisprudenza, tutor di diritto e economia, conciliatore. Attualmente vive a Milano, collabora col Centro Studi Berlin89 e scrive per la testata giornalistica Berlin'89.
Autore del libro "Una sana ossessione - Tra gli eroi, i luoghi e gli incanti di Chiamami col tuo nome - (Cavinato Editore)
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