La guerra in Ucraina. Chi ci guadagna cosa e chi ci perde cosa

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L'Europa non guadagnerà nulla se non la fatica di rimanere competitiva nell'industria globale. L'Italia perderà moltissimo perché (al contrario della Francia) è senza nucleare e ha poche rinnovabili. Guadagnano Cina, India e Pakistan che ricevono dalla Russia petrolio, gas e carbone a prezzi scontati. Incassano (molto) gli Stati Uniti con l'industria bellica e l'estrazione del gas che fornirà anche aIl'Europa.

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I rapporti russo-cinesi sono al centro della politica mondiale. Un esempio? La Russia nel 2021 ha esportato 16,5 miliardi di metri cubi di gas in Cina,  tramite il suo gasdotto Power of Siberia, che ha iniziato a pompare il minerale nel 2019. Ora che chiuderà i rubinetti all'Europa, la Russia conta di raddoppiare la fornitura ai cinesi, fino a  38 miliardi di metri cubi di gas all'anno, consolidando l'intesa con un cruciale acquirente alternativo all’Europa, e nel contempo rafforzando il potere contrattuale nei riguardi di quest’ultima.

 La Cina è già oggi il primo partner commerciale della Russia, che a sua volta, dopo aver superato l’Arabia Saudita, è il primo esportatore di energia (oltre che di tecnologia militare) verso la Repubblica Popolare, via terra per di più, che le permette di evitare i tratti di mare controllati dalle flotte americane. E'   un capovolgimento  epocale.

Quando nove anni fa, di questi tempi, il presidente Vladimir Putin inviò in Cina il patriarca di tutte le Russie Kirill, non poteva prevedere quel che sarebbe accaduto in Ucraina. Oggi di quella sua iniziativa non può che rallegrarsene. Infatti, l’incontro di Kirill con Xi Jinping, che nel novembre 2012 era stato eletto segretario generale del Partito Comunista cinese e nel marzo 2013 era diventato presidente del Paese, si svolse – sarà lo stesso presidente Xi a spiegarne il perché – nel palazzo dell’Assemblea del Popolo in piazza Tienanmen. «Lei è il primo capo religioso in visita ufficiale al nostro Paese», disse salutando il presule. «È una chiara dimostrazione dell’elevato livello e dell’ottima qualità delle relazioni tra i nostri due paesi», aggiunse e, così dicendo, consacrò il patriarca Kirill alla Storia come il primo rappresentante di una Chiesa cristiana e per di più russa ad essere ricevuto, con l’ufficialità di un capo di Stato dal presidente della Repubblica Popolare Cinese.

E’ anche questo un fatto che aiuta a capire la velocità con cui sta mutando il mondo, tant’è che non a caso l’ex-ministro degli Esteri francese Hubert Vedrine in una recente intervista al quotidiano francese l’Humanité ha confidato che rimane,” dell’idea al pari di molti veterani americani della Guerra Fredda, come Brzezinski, Kissinger, Kennan, Matlock o Mearsheimer, che si sarebbe dovuto agire diversamente. C'era stato poi l'enorme errore commesso con il vertice di Bucarest del 2008, dove si dichiarò che l'Ucraina era destinata ad entrare nella Nato ma senza portarlo a conclusione, in particolare perché Sarkozy e Merkel si opposero. Era uno straccio rosso sventolato in faccia all'orso russo.”.
“Avremmo dovuto dire: o mettiamo l'Ucraina nella Nato, rilanciando i negoziati sulla sicurezza in Europa, sui quali  anche Kissinger era d'accordo. Oppure affermare: "No, l'Ucraina non ha vocazione per aderire alla NATO" , e costruire un sistema di neutralità ben radicato e internazionalmente riconosciuto come tale. Non abbiamo fatto né l'una né l'altra cosa, ci siamo stoppati sull' "Ucraina nella Nato", che si è rivelata una provocazione.”. L’ottantenne ex ministro Verdine, non ha dubbi: dalla gurra in Ucraina ne trarranno vantaggio gli Stati Uniti, ma soprattutto la Cina e naturalmente la Russia e con essi il Brasile, l’India e il Sud Africa che insieme costituiscono il BRICS.

Si tenga a mente che i Paesi BRICS rappresentano più di un quarto delle terre emerse del mondo, producono attualmente il 20% del Pil mondiale e rappresentano circa il 16% del commercio internazionale, con 3 miliardi di persone (più del 42% della popolazione mondiale), un’area di circa 38,5 milioni di Km2 e un’enorme quantità di risorse naturali e ingenti riserve monetarie.

Questo è il risultato di un’alleanza nella quale ciascun Paese è sostanzialmente differente dall’altro, non soltanto per razza o colore o fede, ma anche per come ciascun Paese del gruppo si amministra. Insomma, nonostante tutto la formula funziona, e l’obiettivo che il gruppo si pone è di rivoluzionare il mercato globale piuttosto che quello regionale o locale. Il che vuol dire, per prima cosa, diversificare le valute di riferimento in modo che il dollaro non sia più l’unica moneta di pagamento a livello mondiale.

Sicché si sono confermate le previsioni di Arvind Subramanian e Martin Kessler del "Peterson Institute for International Economics" statunitense, che disegnano un quadro nel quale la moneta nazionale cinese – il renminbi, il RMB – si rafforza mentre il dollaro s’indebolisce. I due studiosi ricordano che, dalla metà del 2010 il RMB ha fatto passi da giganti come valuta di riferimento rispetto al dollaro e all’euro. «Le valute di Corea del Sud, Indonesia, Malesia, Filippine, Taiwan, Singapore e Thailandia ora sono collegate più al RMB che al dollaro. Il predominio del dollaro come moneta di riferimento in Asia orientale è ora limitato a Hong Kong, Vietnam e Mongolia». Pertanto, «Il dollaro e l’euro hanno ancora un ruolo che va ben al di là di quello del RMB, ma tutto sta cambiando a favore della moneta cinese», concludono Arvind Subramanian e Martin Kessler.

Gli accordi tra Cina e Russia per «Tracciare il futuro e fornire una guida per le relazioni bilaterali in nuove circostanze storiche», come ha dichiarato Xi Jinping , certamente avranno effetti devastanti sui meccanismi economico-finanziari che sostengono lo status di superpotenza degli Stati Uniti. Infatti, l’unico modo che essi da sempre hanno per far sì che il resto del mondo continui ad accettare riserve di dollari, sempre più svalutati (dopo la fine della conversione in oro, decisa da Franklin D. Roosevelt e poi confermata da Richard Nixon), è quello di legare indissolubilmente il biglietto verde ad un bene fondamentale per tutte le economie: l’energia e naturalmente alla dipendenza in fatto di armi. Ogni volta che è venuta meno questa certezza gli Stati Uniti hanno fomentato una crisi: Libia e Egitto, Siria e Afghanistan, Pakistan e Iraq e adesso l’Ucraina. Una catena di orrori senza soluzione di continuità.

Quest’ansia perversa di salvaguardare il dollaro e con esso il governo dell’America sul mondo, s'è riversata sulla guerra in Ucraina, rischiando davvero di mettere in gioco gli equilibri geopolitici dell’intero pianeta. In questo scenario l’Europa si configura come fosse il 51mo Stato degli Stati Uniti, tanto è assertiva e in sintonia con le conclusioni di Washington, che i governanti d'Europa eseguono con zelo, poco importa se la crisi economica graverà soprattutto su di noi. Infatti, l’Europa dovrà lottare per rimanere competitiva nell’industria globale.

In particolare l’Italia che senza nucleare e con poche rinnovabili dovrà gestire il 30 per cento (stimato) in più di costo delle forniture di gas incluse quelle Usa. Perchè i governanti dell'Europa non si spendono per avviare negoziati che pongano fine alla guerra? Draghi e coloro che lo sostengono non l’hanno ancora capito cosa ci aspetta? Eppure quelli che abbiamo sintetizzato è “storia” alla portata di tutti i  lettori di buona volontà. La loro è pigrizia, paura o malafede? Ognuna delle possibili conclusioni è disarmante.

Non ci vuole molto a valutare l'accanimento degli Stati Uniti i quali, pur di conservare lo status di superpotenza globale scatenano sanzioni ed embarghi, esercito e marina, droni e blocchi contro quelle nazioni che, a loro insindacabile giudizio, metterebbero a rischio il loro potere. Da l'altra parte, vanno tenute in conto le ambizioni economiche di una Cina, la quale non vuole non soltanto più dipendere dal dollaro, ma è decisa a sbarazzarsi anche di quelli che ha. Il risultato è che le sanzioni statunitensi non producono effetti sulle nazioni che sono partner commerciali della Cina. Così è accaduto con l’Iran del quale la Cina è il primo partner commerciale, come ha confermato il quotidiano economico britannico, il Financial Times.

Pertanto meglio si capisce il nervosismo, ad ogni sussulto del dollaro, della Federal Reserve Bank, delle lobby finanziarie, dei gruppi di interesse fautori di un globalismo esasperato, e di un capitalismo ferreo. Costoro reagiscono ammassando le forze militari della Nato ai confini russi in Europa, e nelle acque della Cina in estremo Oriente.  La guerra tra Ucraina e Russia rappresenta una brillante operazione per arricchire a dismisura l’industria bellica americana, con lo scopo non ultimo di distrarre l’attenzione da quello che, è il problema principale degli Stati Uniti: la salvezza del dollaro e con esso dell’impero americano. Su questo l’amministrazione Biden fa quadrato - come i suoi predecessori del resto – e poco si preoccupa della minaccia nucleare nel centro dell’Europa. E’ la maxi intesa tra Cina e Russia, per non dire dell’accordo energetico monstre in renminbi-rubli tra Putin e Xi, che assilla gli americani più di ogni altra cosa.

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Vincenzo Maddaloni
Vincenzo Maddaloni ha fondato e presiede il Centro Studi Berlin89, l'associazione nata nel 2018, che si propone di ripercorrere analizzandoli i grandi fatti del mondo prima e dopo la caduta del Muro di Berlino. Professionista dal 1961 (per un decennio e passa il più giovane giornalista italiano), come inviato speciale è stato testimone in molti luoghi che hanno fatto la storia del XX secolo. E’ stato corrispondente a Varsavia negli anni di Lech Wałęsa (leader di Solidarność) ed a Mosca durante l'èra di Michail Gorbačëv. Ha diretto il settimanale Il Borghese allontanandolo radicalmente dalle storiche posizioni di destra. Infatti, poco dopo è stato rimosso dalla direzione dello storico settimanale fondato da Leo Longanesi. È stato con Giulietto Chiesa tra i membri fondatori del World Political Forum presieduto da Michail Gorbačëv. È il direttore responsabile di Berlin89, rivista del Centro Studi Berlin89.
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