La sorte del clima dipende dai signori della guerra

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Volentieri riproponiamo quest'articolo di Ariel Gold, con il quale sostiene che il complesso militare-industriale rappresenta il maggior ostacolo nell' affrontare la situazione climatica da codice rosso delineata nell' ultima relazione delle Nazioni Unite sul clima.  Leggiamo perché.

 paul bruins

La terribile situazione che da tempo temiamo per il nostro pianeta è causata dalla mancata azione da parte di tutti i paesi per evitare il peggioramento delle condizioni climatiche.  E' oramai certo che il riscaldamento globale e le sue estreme conseguenze meteorologiche si intensificheranno nei prossimi trent'anni. È un " codice rosso" per l'umanità, ha detto il segretario generale dell'Onu António Guterres.

È difficile sopravvalutare l'entità della crisi climatica. Secondo l'ultimo rapporto delle Nazioni Unite, i prossimi trent'anni vedranno quasi certamente un miliardo di persone in tutto il mondo sottoposte a ondate di calore potenzialmente letali. Centinaia di milioni di persone saranno colpite da gravi siccità. Il futuro non sarà ancora peggiore solo se l'aumento della temperatura verrà limitato a 1,5°.

Mentre in molti sono responsabili dell'inazione che ci ha portato a questo punto, un attore in particolare deve essere immediatamente frenato: il complesso militare-industriale degli Stati Uniti.

L'esercito americano è il più grande consumatore industriale di petrolio e gas e uno dei maggiori inquinatori nella storia del mondo. Secondo un rapporto della Brown University, tra il 2001 e il 2019 la guerra degli Stati Uniti in Afghanistan ha causato l'emissione di 1,2 miliardi di tonnellate di gas serra e ha portato alla deforestazione e alla combustione tossica dovuta all’uso delle munizioni.

Non sono solo le operazioni militari degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti sono responsabili del 37% del commercio globale di armi. Durante l'anno fiscale (FY) 2020, i produttori di armi statunitensi hanno venduto ai paesi stranieri oltre 175 miliardi di dollari di armi, il 24% dei quali è andato all'Arabia Saudita.

La guerra guidata dagli Stati Uniti in Yemen ha provocato una crisi umanitaria così grave che un bambino di età inferiore ai cinque anni in quel paese muore ogni dieci minuti a causa della malnutrizione. Inoltre, dall'inizio della guerra nel 2015, una petroliera non soggetta manutenzione, piena di oltre un milione di barili di greggio, è stata parcheggiata quattro miglia a nord del porto bloccato di Hodeidah, nello Yemen. La petroliera è ora gravemente deteriorata dalla ruggine e rischia di esplodere. Secondo Greenpeace, se la petroliera esploderà , il suo impatto sarà quattro volte maggiore di quello procurato dalla fuoriuscita di petrolio della Exxon Valdez del 1989.

Come per la vendita di armi all'Arabia Saudita, le esportazioni statunitensi di armi verso Israele stanno esacerbando la crisi in corso. Durante l'anno fiscale 2020, gli Stati Uniti hanno esportato armi per un valore di 441 milioni di dollari in Israele. Durante l'attacco militare durato undici giorni di Israele a Gaza nel maggio 2021, non solo sono state uccise oltre duecentocinquanta persone a Gaza e tredici in Israele, e altre quarantamila persone a Gaza sono state sfollate , ma armi esplosive hanno colpito il più grande negozio di pesticidi di Gaza e sempre a Gaza la fabbrica Foamco, che immagazzina sostanze chimiche pericolose.

Piuttosto che assistere la striscia di Gaza assediata con aiuti per infrastrutture necessarie come il trattamento delle acque reflue - il 97% dell'acqua a Gaza non è potabile a causa della contaminazione - l'amministrazione Biden ha risposto alla guerra del maggio 2021 annunciando l’approvazione della vendita di altri 735 milioni di dollari di munizioni a Israele, e due mesi dopo il Dipartimento di Stato approvò un’altra vendita di armi per un valore di 3,4 miliardi di dollari.

Molti speravano che l'elezione di Joe Biden avrebbe portato a una diminuzione delle vendite di armi e delle spese militari degli Stati Uniti. Ma il budget proposto dall'amministrazione Biden per l'anno fiscale 2022 è di 753 miliardi di dollari, un aumento del 2% rispetto all'anno fiscale precedente.

Tra i budget proposti da Biden per l'anno 2022 ci sono 2,6 miliardi di dollari per i sistemi di missili balistici intercontinentali, cinque miliardi di dollari per un nuovo sottomarino missilistico nucleare, tre miliardi di dollari per i bombardieri B-21 (che consumano in un’ora circa lo stesso carburante che un’auto di media cilindrata utilizza in sette anni), 15,7 miliardi di dollari per i programmi di armi nucleari e dodici miliardi di dollari per i jet F-35 Joint Strike Fighter.

Secondo il quotidiano norvegese Dagsavisen, il jet da combattimento F-35 consuma il 60% in più di carburante rispetto al suo predecessore, l'F-16, ed ha riscontrato problemi. Con 4600 kg di materiale combustibile e quasi 1225 kg di carburante per jet, uno schianto di un F-35 si tradurrà in un inferno di emissioni di gas serra.

Una scheda informativa sul bilancio 2022 dell’amministrazione di Biden, rilasciata dalla Casa Bianca ad aprile, afferma che il budget proposto dal Pentagono "dà la priorità alla necessità di contrastare la minaccia rappresentata della Cina come sfida principale del dipartimento", affermando al contempo di sostenere "gli sforzi per pianificare e mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici". Ma questi due obiettivi sono contraddittori.

Sebbene la spesa militare della Cina sia aumentata del 76% nell'ultimo decennio, possiede 4,35 volte la popolazione degli Stati Uniti e nel 2020 ha speso 252 miliardi di dollari per i suoi militari. Gli Stati Uniti ne hanno speso 778 miliardi.

Per affrontare la situazione climatica da codice rosso delineata nella nuova relazione delle Nazioni Unite sul clima, gli Stati Uniti devono cooperare anziché competere e combattere la Cina. Per evitare risultati catastrofici ancora peggiori di quelli già in serbo per noi, gli Stati Uniti devono risolvere i conflitti in cui ci troviamo già e smettere di crearne di nuovi. Dobbiamo ridurre le nostre spese militari, chiudere le nostre basi militari e smettere di vendere armi, soprattutto ai paesi che causano ed esacerbano attivamente le crisi umanitarie e ambientali. Le nostre vite e il nostro pianeta dipendono dalla nostra capacità di fare pace

Fonte: Jacobin 


Ariel goldAriel Gold è il co-direttore nazionale di CODEPINK e una esperta di politica estera degli Stati Uniti in Medio Oriente . Ha conseguito una laurea in Analisi e gestione delle politiche presso la Cornell University e un master in Servizio sociale presso la State University di New York, Binghamton. Sebbene le sia proibito l'entrata in Palestina continua a battersi per la pace e la giustizia in Israele/Palestina e in tutto il mondo. Ariel Gold pubblica su Forward , Huffington Post, Tikkun Magazine , Truthout  e Mondoweiss 

 

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