Come mai Cuba manda le brigadas médicas in aiuto agli altri gratuitamente

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La pandemia in giro per il mondo/Il Coronavirus, visto da l'Avana

Nemmeno in un periodo di conclamata pandemia l'America di Trump ha allentato l'embargo. Nonostante le difficoltà l' Avana continua a mandare i suoi medici cubani in mezzo mondo appestato dal Covid-19 tra cui l' Italia.  I medici che compongono la brigada provengono da una istituzione di eccellenza che forma medici provenienti da tutta l’America latina e dall’Africa. L'istituzione nata nel 1999, ha il chiaro obiettivo di formare una classe medica di alto livello nei paesi sottosviluppati ed in via di sviluppo, che sia anche in grado di rispondere alle sfide globali come le catastrofi ambientali e le pandemie.

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In mezzo a quella che si è rivelata una brutta epidemia mondiale, una delegazione di 55 medici cubani, denominata “Henry Revee” sbarca in Lombardia il 22 marzo. Il 13 aprile una seconda brigata di 21 medici e 16 infermieri arriva a Torino ancora una volta per supportare l’Italia, ed in particolare le zone della penisola più colpite dal virus.

Perché? Avevamo bisogno di Cuba? Noi, che facciamo parte del gotha dei Paesi più industrializzati del mondo? Evidentemente sì, ne avevamo bisogno….

Se ne è poi parlato poco, dopo una fase entusiastica di servizi proposti dai vari telegiornali con tanto di bandiera cubana nello sfondo… poi forse ci si è ricordati che Cuba è stata, ed in qualche modo continua ad essere, un’isola scomoda.

Per capire la ragione dell’arrivo di medici cubani in Italia, occorre fare un piccolo passo indietro e spiegare che Cuba ha sempre fatto del suo internazionalismo sanitario un vessillo della Rivoluzione.

Già all’indomani dell’instaurarsi del regime comunista nel 1959, Castro, trovandosi senza medici, dato che molti erano fuggiti all’estero, si era dato da fare per formare del personale medico qualificato che potesse operare a Cuba ma anche in tutti i Paesi in carenza di interventi medici qualificati.

Uno dei primi interventi delle brigadas medicas (così vennero denominate) in ambito internazionale avvenne in Algeria nel 1963, in un Paese che si era appena guadagnato l’indipendenza dalla Francia ma dai cui i medici francesi erano tutti andati via.

Medicos y no bombas” – così Fidel Castro in un suo discorso tenuto a Buenos Aires nel maggio del 2003. É dunque sulla scia di questa politica di prestito dell’eccellenza medica perseguita per decenni che è avvenuto l’invio di queste equipe di esperti in epidemie e catastrofi all’Italia.

La brigadaHenry Revee”, la prima giunta nel nostro Paese, che ironicamente prende il suo nome un cittadino americano che combatté per l’indipendenza cubana durante la prima guerra di indipendenza nella seconda metà dell’Ottocento, fu creata da Fidel Castro nel 2005. Inserendosi nell’ambito di quella che è stata definita una strategia ben calibrata di diplomazia medica, tale contingente internazionale di medici specializzati ha affrontato, ad esempio, l’Ebola in Liberia, Guinea e Sierra Leone nel 2013 e l’epidemia di colera ad Haiti dell’ottobre 2010.

I medici che compongono la brigada provengono da una istituzione di eccellenza che forma medici provenienti da tutta l’America latina e dall’Africa finanziandone i percorsi formativi con borse di studio e sussidi di varia natura. L’unica condizione posta è di natura etica, ovvero di mettere poi le proprie competenze al servizio della sanità pubblica dei Paesi di provenienza. Si tratta della Escuela Latinoamericana de Medicina – ELAM, che si trova alla periferia della Habana.

Nata nel 1999, ha il chiaro obiettivo di formare una classe medica di alto livello nei paesi sottosviluppati ed in via di sviluppo, e che sia anche in grado di rispondere a sfide globali come catastrofi ambientali e pandemie.

Numerose Brigadas medicas hanno cooperato per anni con il Venezuela e con il Brasile, nell’ultimo caso fino all’arrivo di Bolsonaro, ma è certamente la prima volta che Cuba invia aiuto medico ad uno dei Paesi che fa parte del G7. Al momento Cuba collabora, oltre che con l’Italia, con circa una trentina di Paesi nell’intento di superare l’empasse sanitaria che grava su tutti noi. É chiaro che la formazione di questi medici viaggianti rappresenta per Cuba un capitale che talvolta serve da elemento di scambio. Le missioni umanitarie sono svolte pro-bono ma alcune missioni, presso paesi che possono pagare, vengono retribuite.

La retribuzione non è necessariamente monetaria ma può consistere in petrolio, come nel caso del Venezuela, o altre materie prime, data la peculiare situazione economica dell’isola.

Ma Cuba, come sta? Il Covid si è chiaramente diffuso anche nell’isola caraibica; ricordiamo che i primi tre casi accertati sono stati tre turisti italiani provenienti dalla Lombardia arrivati nell’isola il 9 marzo e prontamente presi in carico dalla sanità locale.

Il sistema sanitario cubano, soprattutto se rapportato a quello di altre nazioni che hanno smantellato quasi del tutto la sanità pubblica escludendo di fatto una larga fetta della popolazione dall’accesso alle cure di base, è un buon sistema sanitario.

Cuba vanta una delle percentuali più alte di medici in rapporto alla popolazione: secondo dati recenti ci sarebbero 8 medici ogni mille abitanti (il doppio rispetto all’Italia) ed assistenza medica gratuita universale. Forse vale la pena ricordarlo, soprattutto quando, tornati alla “normalità” ci troveremo, come società occidentali e ricche, a decidere che percorso vogliamo che intraprendano i nostri sistemi sanitari.

Ma occorre anche ricordare che Cuba è sotto embargo, el bloqueo, e permane in tale stato dal 1962, quando Kennedy lo decretò con il “Proclama 3447” ampliando le già ampie restrizioni commerciali imposte nel 1960 da Eisenhower.

La distensione dei rapporti Cuba – USA, la ripresa delle relazione diplomatiche, che aveva visto un momento importante con la visita di Barak Obama all’Avana e l’incontro con Raul Castro, si è del tutto interrotta con l’amministrazione Trump.

E l’embargo oggi pesa più che mai su un Paese che cerca comunque di fare del suo meglio per curare la sua popolazione e dare una mano alle altre, ma che soffre di una grande difficoltà nell’approvvigionarsi di merci basiche. E la difficoltà di fare arrivare a Cuba merci riguarda ovviamente anche il settore medico e della ricerca: mancano respiratori, reagenti e tutto ciò di cui un paese può avere bisogno durante un’emergenza sanitaria, ma anche per garantire un progresso nella ricerca delle cure contro il Covid di cui potremmo beneficiare tutti.

È notizia di qualche giorno fa che gli scienziati cubani stessero lavorando al prototipo di un antivirale che sembra interessante ma è ovvio che la ricerca utilizza tutta una serie di materiali senza i quali è impossibile fare ricerca scientifica.

Nonostante tutto Cuba resiste e riesce a contenere il contagio, ma a chi giova che Cuba permanga ancora sotto embargo? Non a noi…

 

mirabella valeriaValeria Mirabella è nata a Catania nel 1976, geografa e linguista, attualmente vive a Trieste dove lavora presso la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati e collabora con il Triestebookfestival. Ha insegnato geografia di Cuba presso l’Università degli studi di Catania e si è occupata a lungo di migrazioni.  

 

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