Stiamo perdendo l'Ungheria, anzi è persa

Il settimanale tedesco Zeit ha pubblicato un lungo articolo che racconta – e interpreta – il declino politico, morale ed economico dell’Ungheria di Viktor Orbán, e come sia diventato un paese sempre più diviso e meno democratico. Il saggio è stato scritto da Beda Magyar,
pseudonimo che nasconde l’identità di uno o una scienziata ungherese, a lungo dipendente della Central European University (CEU), l’università finanziata da George Soros che a causa delle vessazioni del governo di Orbán ha dovuto pochi mesi fa trasferirsi dall’Ungheria all’Austria. Magyar, spiega una nota, ha scritto sotto pseudonimo per proteggersi e proteggere la sua famiglia da eventuali ritorsioni.

Budapes

Il saggio comincia da una descrizione dell’attuale situazione politica, sociale ed economica dell’Ungheria, che oggi, secondo Magyar, non raggiungerebbe gli standard minimi per poter entrare nell’Unione Europea: perché è ormai un paese illiberale, senza libertà di stampa e senza democrazia.

 

C’è una facciata di libertà di stampa, ma non ci sono più veri giornali indipendenti da quando fu approvata la legge sulla stampa, nel 2011. La propaganda statale permette a una manciata di giornali e televisioni con pubblico minuscolo di continuare a funzionare, ma la maggior parte delle testate indipendenti sono ormai state comprate o chiuse da Fidesz [il partito di Orbán, ndt]. C’è un’apparenza di rispetto dei diritti umani, ma la Costituzione del 2012 li rende soggetti a non meglio chiariti obblighi verso lo Stato, e le leggi sono comunque molto flessibili. Le elezioni sono libere sulla carta, ma chiaramente non lo sono nella pratica.

 

Magyar fa altri esempi per dimostrare come in Ungheria si sia di fatto sgretolato lo stato di diritto. Dalla legge introdotta nel 2018 per cui anche i ritrovi di due persone possono essere considerati manifestazioni politiche, all’indagine su due deputati dell’opposizione che lo scorso dicembre avevano provato a entrare negli studi della televisione pubblica per protestare contro il pochissimo spazio che era stato loro concesso durante la campagna elettorale. E poi c’è stata la creazione di un sistema di tribunali parallelo e controllato dal governo, che si occuperà anche di questioni politicamente delicate come legge elettorale, corruzione e diritto di manifestare. Magyar sostiene che «la brutalizzazione della stampa e della società ha raggiunto livelli mai visti dagli anni Trenta»: anche se non ci sono omicidi o incarcerazioni politiche sistematiche, succedono cose strane e apparentemente inspiegabili di tanto in tanto – come quando un candidato dell’opposizione è stato investito da un’auto il giorno prima delle elezioni – e soprattutto c’è la totale assenza di un’opposizione, almeno a livello di organizzazioni di massa.

 

In tutto questo, dice Magyar, l’economia è «in stato disastroso» e tenuta in piedi artificialmente dai fondi europei e da «quattro o cinque società tedesche»: e Orbán non sembra avere un piano di qualunque tipo per risollevare la situazione. L’ultima grande legge sul lavoro approvata in Ungheria, quella che ha liberalizzato gli straordinari, è stata ribattezzata “legge sulla schiavitù” e provocato le prime grandi manifestazioni di piazza contro Orbán dopo anni.

 

In un paese di meno di dieci milioni di abitanti, quattro milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà, e un milione vive in estrema povertà. Dottori e infermieri hanno lasciato gli ospedali in gran numero e la maggior parte delle cure per il cancro vengono negate a chi abbia più di 75 anni. L’economia è in declino costante dal 2008, la disoccupazione è mascherata da programmi di lavoro pubblici – obbligatori per chi cerca lavoro o percepisce un sussidio di disoccupazione e con stipendi più bassi di quelli minimi per legge – ed essere senza fissa dimora è diventato illegale. La povertà è evidente sulle strade di Budapest come lo era nei primi anni Novanta e gli 87 milioni di euro inviati ogni settimana dall’Unione Europea finiscono direttamente e senza controlli nelle tasche di qualche oligarca leale a Orbán.

 

Uno dei grossi temi dell’articolo di Magyar è proprio la responsabilità che ha avuto l’Unione Europea nella storia recente dell’Ungheria, non solo come “spettatrice silente” ma anche come facilitatrice del successo di Orbán. Secondo Magyar, in questi anni sono stati i fondi dell’Unione Europea a tenere in piedi l’economia ungherese e a permettere a Orbán e ai suoi alleati di arricchirsi, aumentando il loro controllo sul paese. Tutto mentre Orbán capitalizzava politicamente dai suoi continui attacchi contro l’Unione Europea, contro i «burocrati che vogliono distruggere la nostra identità».

 

Dobbiamo dare la colpa di questo stato di cose all’elettorato ungherese? Sicuramente sì: Orbán è stato eletto legalmente nel 2010 (anche se le elezioni del 2014 e del 2018 sono state chiaramente manipolate). L’Ungheria sarebbe finita in questo stato di degrado se non fosse stato un paese membro dell’Unione Europea? Difficilmente. Il paese è costruito intorno ai fondi europei, a una manciata di società tedesche e ai confini aperti che rendono facile andarsene per chiunque la pensi diversamente.

 

Secondo Magyar, l’Unione Europea avrebbe potuto intervenire per tempo e avrebbe risparmiato all’Ungheria questo rapido declino politico, sociale ed economico. Ma quando ebbe l’occasione di farlo – per esempio budapest40quando nel 2012 i “diritti inalienabili” scomparvero dalla Costituzione – fu troppo timorosa e si nascose dietro la giustificazione che ogni intervento sarebbe stato un’indebita intromissione negli affari nazionali ungheresi. Togliere i fondi europei all’Ungheria ne avrebbe sicuramente distrutto l’economia, dice Magyar, ma almeno le sue istituzioni sarebbero rimaste in piedi e avrebbero permesso la ricostruzione del paese. Ormai però è troppo tardi, e anche quelle istituzioni sarebbero da ricostruire.

 La retorica anti europeista di Orbán, inoltre, lo ha messo in una posizione di forza anche nel caso dovesse decidere di lasciare l’Unione Europea, quando non sarà più utile ai suoi fini. La recente sospensione del suo partito dal Partito Popolare Europeo, tra le altre cose, è stata raccontata da Orbán come una sua decisione; la battuta che circola è che “il Partito Popolare Europeo ha quasi lasciato Fidesz”, non il contrario. Se anche a questo punto l’Unione Europea decidesse di fare qualcosa, non servirebbe a niente, dice Magyar: perché il sistema oppressivo che Orbán è riuscito a costruire sarebbe in grado di sopravvivere anche con molte meno risorse di quelle necessarie qualche anno fa. E non ci sarebbero sistemi legali per cambiare le cose.

 L’articolo di Magyar si chiude – se non con ottimismo – con qualche speranza, riposta comunque nell’Unione Europea. Però, dice Magyar, è necessario cambiare radicalmente approccio verso quello che sta succedendo.

 

Invece di limitarsi a credere che l’Ungheria sia una democrazia, è il momento di cominciare a cercare prove che non sia una dittatura. Invece che continuare a pensare che la democrazia sia in grado di difendere se stessa, l’Unione Europea e i paesi membri dovrebbero riconoscere che è la più fragile delle forme di governo, perché chiunque può arrivare al potere. E tuttavia, è esattamente questa anche la forza più grande della democrazia: la possibilità di autocorreggersi relativamente in fretta.

È arrivato il momento di seguire gli esempi positivi di resistenza e combattere con tutti i mezzi a disposizione per i valori dell’illuminismo, per i diritti umani, l’autodeterminazione, il dibattito parlamentare e la cooperazione; e per cominciare a prendere seriamente queste figure autoritarie affamate di potere e di sangue, invece di insistere con conversazioni diplomatiche sui diritti umani. L’estrema destra ha già preso il controllo del dibattito in gran parte dell’Unione Europea, ma la maggioranza vuole ancora un sistema unito, tollerante e  cooperativo.
Per ora.

Le foto sono di Josh S. Rose tratte dall'album Budapest 2016

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