In «Siberia» in compagnia di Jack London

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Abel Ferrara ha accanto a sé il suo complice, il suo vicino di casa al quartiere Esquilino di Roma dove si ostinano dopo anni a bofonchiare appena qualche parola in italiano, il padrino della sua piccola figlia avuta a 66 anni, l’attore con cui ha girato sei film, Willem Dafoe, che torna alla Berlinale due anni dopo l’Orso alla carriera.

Siberia di Abel Ferrara
In Siberia (in gara, è una coproduzione a maggioranza italiana con Vivo Film e Rai Cinema), Willem, isolato dal mondo, gestisce un rifugio su una vetta.
 
Un giorno prende la muta dei cani da slitta e parte per un viaggio della mente.
Così, abitando i sogni e gli incubi di un regista dal talento selvaggio, incontra le persone più significative della sua vita, il padre e il fratello hanno sempre il volto del protagonista, poi c’è la donna che ha amato che gli rinfaccia l’egoismo, e qualche sciamano di magia nera in una terra, la Siberia, avvolta da una forte spiritualità.
 
Il volto di Willem Dafoe lavorato dal tempo, a volte inquietante, è come una mappa geografica dove ritrovi tra le rughe le tappe di un’esistenza, le scelte, il destino, esattamente come il suo complice Abel Ferrara.

Willem alter ego di Abel? I due sorridono, lo negano senza crederci troppo.

L’attore: «Sono soprattutto la creatura della sua immaginazione, mi chiede di diventare il frutto della sua fantasia, e ogni volta partecipo».
Il regista: «Io sono l’alter ego di me stesso, oppure sono io l’alter ego di Willem, la prossima volta ci scambieremo i vestiti». E ride offrendo tutti i denti disordinati con la faccia del Bronx, quando il Bronx faceva paura, lì dov’è cresciuto in mezzo a gente da cui è meglio tenersi lontani.
«Noi due siamo una famiglia teatrale, dove ognuno è chiamato a dare il proprio apporto creativo», spiega l’attore.
«Io — aggiunge il regista — ho cominciato a 16 anni e non ho mai vissuto altri set al di fuori dei miei, Willem ha lavorato coi registi più grandi ed è importante scambiare le nostre energie».
«Tarkovskij diceva che il cinema è importante perché espande il proprio vissuto — conclude Dafoe — ma questo film non è una confessione o un processo di autoanalisi».

 Abel, una volta in mare c’erano i messaggi nella bottiglia: qui, nella scena finale, appare un pesce parlante: cosa dice?

«Che ognuno di noi è responsabile delle proprie azioni, che è un po’ quello che sostenevo nel mio precedente film, Tommaso. E poi dice che la fine del mondo è vicina». Interviene Willem: «Di questa storia del pesce parlante, Abel me ne parla da anni. Mi ha raccontato che è una storia vera, di cui si parlò molto, avvenuta negli anni 90 in una pescheria della comunità ebraica di New York». Abel: «Il pesce giusto della scena l’ha scelto Willem. Eravamo sotto a una tempesta di neve e stavo cercando di trasformare un pesce in una esperienza cinematografica».

 Il regista afferma che «realtà e sogno sono mondi paralleli non così distanti». Dice di non aver messo in scena i suoi incubi. Eppure Willem Dafoe nel viaggio interiore con la slitta, viene aggredito dai lupi, precipita in un dirupo, assiste a esecuzioni sommarie in una grotta, osserva una nana in carrozzina e giace con una mostruosa donna anziana che ha le viscere di fuori.

Chiediamo al regista come fa a professarsi buddhista, che è un invito alla meditazione, con gli antichi demoni che ancora abitano la sua mente, come si conciliano calma interiore e violenza? Non riesce bene a trovare le parole, poi dice: «Penso di essermi riconciliato col passato, quello che mi interessa è far emergere esperienze e potenzialità di ciò che siamo, mi interessa far emergere la vita». Il vento sibila, i cani abbaiano.

E c’è tanta neve. Questo paesaggio «mentale», il più distante dove un uomo può andare, lontano da un’idea di comunità, è stato ritrovato in Alto Adige. «Ho creato immagini e suggestioni con cui ho convissuto, è l’universo di Jack London. Ho pensato anche a Solgenitsin, non per cercare un legame tra l’esilio volontario del mio protagonista e il confino nel gulag dello scrittore russo, ma per il suo rapporto con la natura e il regno animale».

Valerio Cappelli

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