L'Efa Coraggio. L’omosessualità grande protagonista a Siviglia

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E’ stata la rivelazione di quest’edizione dell’European Film Awards. E la ragione c’è. Lo spiega in esclusiva a Berlin89 Rupert Everett premiato come il miglior regista europeo. Nella foto di copertina: Carmen Maura,premio alla carriera, con il regista Pedro Almodóvar.

Girl 0Coesione, diritti umani e preoccupazione per il futuro della Comunità Europea, tutto questo ha fatto della celebrazione per la trentunesima edizione dell’European Film Awards a Siviglia, lo scorso 15 dicembre, una parentesi spensierata in un mare di problemi. A quanto pare il cinema europeo è in perfetta salute, non lo è per niente l’Europa, con l’insorgere dei populismi e il divorzio dell’Inghilterra. L’European Film Academy denuncia così, dove politica e società falliscono.

Il regista tedesco Wim Wenders (Il cielo sopra Berlino) e presidente dell’EFA, ha dichiarato a Berlin89: “La situazione non è affatto semplice. L’Italia, per esempio, ci preoccupa e ci dà speranze al contempo. Quest’anno in lizza per un’EFA, avevamo due contributi dal Belpaese, Alice Rohrwacher con Lazzaro Felice per miglior film e Marcello Fonte come migliore attore europeo per Dogman di Matteo Garrone. Ha vinto Fonte, ha vinto un artista italiano, questo serve a ricordare all’Italia quanto grande sia la sua cultura e quanto importante sia il suo apporto nel nostro cinema.”.

Anche il regista Costa-Gavras, dirompente al cinema e sempre più guru, ci ha detto: “Quando un regista come me è preoccupato, vuol dire che c’è ancora tanto da fare. L’Europeo deve fare del caos culturale che lo contraddistingue la sua bandiera. La nostra Europa è coacervo di straordinarie diversità, non possiamo che celebrarle con film che fissino tutto ciò in un patrimonio comune.”.

SIVIGLIANon paia retorica spicciola, se tutta la cerimonia, al Teatro de la Maestranza di Siviglia ha visto alternarsi alla conduzione solo giovani attori da ogni angolo d’Europa, per porre l’accento sulla sua diversificazione e ricchezza di nuove leve, pronte a narrare col cinema storie di vita. La stessa attrice, icona di Pedro Almodovar, Carmen Maura (Donne sull’orlo di una crisi di nervi; Volver; nella foto a destra col regista Almodovar) che ritirava l’EFA 2018 alla carriera, ha ringraziato commossa l’Academy con un discorso in tre lingue alternate: spagnolo, inglese e francese; in un’apparente schizofrenia d’idiomi metafora del caos linguistico da cui il cinema europeo si forgia costantemente.

Metti una produzione qualunque e vedi quante sono le lingue parlate sui set di questo Continente. Tuttavia la rivelazione di quest’edizione dell’EFA è stata il cinema dedicato alla omosessualità e al transgenderism, mortificati ancora in troppi paesi della comunità, Ungheria e Italia primi della lista. Uno dei premi più ambiti il Prix Fipresci - European Discovery è andato così a Girl, produzione belga e olandese del giovanissimo regista Lukas Dohnt con un entusiasmante interprete Viktor Polster nel ruolo di Lara (a sinistra nella foto grande in alto a destra). Transgender che ha un doppio sogno: vivere il proprio corpo di uomo da donna e diventare una ballerina. Un dramma familiare che abbraccia l’arco europeo come dramma sociale. Al ritiro del premio Dohnt secco e diretto ha rimproverato tutta la società, chiedendo dal palcoscenico dell’EFA perché è stato permesso il calpestio sull’empatia. “Compito del cinema - ha aggiunto - non è quello di costruire muri ma ponti, per essere voce delle minoranze ignorate o stigmatizzate.”

 

ESCLUSIVO

Rupert Everett, tra le nomination per l’EFA come migliore regista europeo col film The Happy Prince sugli ultimi anni della vita di Oscar Wilde - lanciato dall’ultima Berlinale nel febbraio scorso - ha rincarato la dose su queste emergenze e sul patema Europa, non solo come Director di un film a sfondo omosessuale, ma come cittadino britannico. Lo abbiamo incontrato nella splendida cornice del chiostrino andaluso de Las Casas de La Judería di Seviglia.

everettMister Everett, tanti anni per mettere insieme i capitali per realizzare del The Happy Prince. Alla luce di ciò quanto è importante per lei essere tra le nomination dell’EFA?

Per me è straordinario ritornare qui all’EFA, io ero presente al secondo European Film Award in assoluto. Questo però era il progetto della mia vita, devo dirle, quindi la mia gioia si unisce alla soddisfazione, essere qui è come essere giunti dopo un lungo viaggio.

 Girano più capitali negli Stati Uniti, dove il cinema è un’industria. Non è più difficile lavorare in Europa?

Per comodità sarei andato negli Stati Uniti, ma volevo essere parte del cinema europeo, contribuire al suo successo. Con The Happy Prince ho coronato il sogno di fare un film tutto europeo, come il personaggio di cui narro e gli attori che vi partecipano in tre differenti lingue di questa nostra Europa.

L’Italia è appunto uno dei paesi che ha coprodotto con Inghilterra e Francia il film. Com’è stato lavorare con la parte italiana del suo progetto?

Ho lavorato e lavoro tanto in Italia, per esperienza so che ci vogliono elasticità e pazienza. Non creda però che sia stato più impegnativo del lavoro con la parte francese: letteralmente francese. Le dico dunque che il mercato italiano è più aperto a tante esperienze diverse, questa è una rara dote.

 Che cosa ha imparato da questa triplice esperienza: sceneggiatore, regista e interprete di un suo film?

L’esperienza è stata magica e sarò ancora regista un lavoro che non si mostra durante il film, ma prima delle riprese stesse. Scegliere per esempio, devo dirle che non avrei potuto fare di meglio, rispetto agli attori che ho scritturato. Come il direttore della fotografia e il responsabile dei costumi.

 Il suo è un lungo percorso come attore, ci sono personaggi del mondo del cinema che hanno segnato la sua esperienza?

La mia è stata una lunga carriera, così arrivare alle soglie di The Happy Prince significava sapere esattamente ciò che volevo e come lo volevo. Amare Sergio Leone e Vittorio De Sica si unisce con aver conosciuto Danilo Donati o Piero Tosi, per esempio. Tutti i giganti dai quali ho imparato l’importanza dei dettagli di cui un film deve essere ricco.

Come mai ha scelto di interpretare l’ultimo scorcio della vita di Oscar Wilde?

Ci sono almeno tre film sul giovane Wilde, ciò che avevo in mente scrivendo la sceneggiatura del mio film era proprio l’aspetto del sacrificio del maturo autore britannico. Io lo interpreto come una “passione”.

Sembra dare al film un valore cristologico…

Oscar Wilde è come un Gesù, ma in senso laico, certamente. Umiliato, arrestato, condannato dalla società per le sue pulsioni, ha combattuto per non nascondersi.

La sua esperienza con la televisione?

Lavorare per la televisione è frenetico. Tutto è molto più veloce, devi riuscire a far emergere tante cose in pochissimo tempo. Spostarmi dal ruolo di Oscar Wilde a l’inquisitore è stato avvincente, perché sono due figure antitetiche.

Tornando a Oscar Wilde, quanta attualità c’è nel suo film?

Essere omosessuali oggi è essere Oscar Wilde. Ai quattro angoli del mondo essere lesbica, gay o transgender è ancora decisivo per il tuo destino, purtroppo. Viaggiando in Italia per promuovere il film in maggio ero sopraffatto dal numero di storie che ho incontrato. Quanta omofobia, come la città di Genova che ha cancellato il Pride. Sono piccole cose per me allarmanti.

Nulla è cambiato dai tempi di Oscar Wilde?

Abbiamo fatto un lungo viaggio da allora a oggi. Le cose da un lato vanno molto meglio, ma oggi viviamo in un tempo nel quale tutto può ancora succedere. Nella mia comunità dobbiamo essere sempre e ancora vigili. Dunque penso che il mio film è anche sull’oggi.

Pensa anche di avere chance per un Oscar?

Non la metterei in questi termini, perché quando entri nel loop della competizione, non puoi smettere di odiare il tuo prossimo. Il successo per il film è già trovarsi qui nella rosa dei candidati per l’EFA, che è, a tutti gli effetti, il premio più ambito nel cinema europeo.

Ha un distributore negli States?

Parliamo di questo piuttosto. Per vincere un Oscar hai bisogno di tanti soldi, perché se non hai chi ti distribuisce, nessuno si accorge di te.

Qual è il suo punto di vista da inglese sulla Brexit?

La nostra è una situazione deprimente, questo divorzio sta alienando la nostra comunicazione. La società inglese è completamente divisa in blocchi contrapposti, come la nostra relazione con la Scozia, l’Irlanda senza menzionare i rapporti con l’Europa. Lo trovo terrificante, specie perché tanta gente sta estremizzando i toni.

Lei sta maturando, lo showbusiness la diverte di più oggi o tornerebbe in dietro nel tempo?

Resta un ambiente difficile questo, a me piace recitare e fare il regista. Lo showbusiness di per sé è crudele. È maschilista, antigay e contro l’avanzare dell’età. Da quando viviamo nella tecnologia virtuale poi, chi vuole qualcosa non chiede un appuntamento, ti manda una mail e punto. 

 

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Salvatore Trapani

Salvatore Trapani vive a Berlino dal 1998. Ha corrisposto per le pagine di cinema e cultura del periodico romano Shalom-Mensile e del quotidiano nazionale Il Giornale. Si occupa di memoria storica e arti visive cooperando come referente alla formazione per il Memoriale agli Ebrei uccisi d’Europa a Berlino, per il Memoriale dell’ex campo di concentramento femminile di Ravensbrück  per l’Isituto Storico di Reggio Emilia, ISTORECO, dove ha fondato il progetto A.R.S. – Art Resistance Shoah. È anche autore di novelle (Edizioni Croce) e per saggistica (Editrice Viella).  Si chiama Denoument il suo sito tutto dedicato al Cinema.(https://www.denouement.it/).

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