Un suicido annunciato. La guerra dell'energia

Ci è voluta la guerra per sollevare le sorti del Gas Naturale Liquefatto (GNL) americano in Europa, e per spazzare via dal tavolo ogni obiezione, nonostante la crisi climatica, sulla pericolosità dei rigassificatori e sull’inquinamento che generano. Le coste del Bel Paese stanno per circondarsi di nuovi rigassificatori a Piombino, Ravenna, Porto Empedocle, Porto Vesme, Porto Torres, Oristano, Brindisi, Falconara e Gioia Tauro. Si aggiungeranno a quelli già esistenti a Panigaglia, Livorno e Porto Viro. 

Durante il mandato presidenziale di Barack Obama la produzione statunitense di petrolio è passata da 5,1 a 8,8 milioni di barili al giorno, e quella di gas naturale è cresciuta da 79.000 a 445.ooo miliardi di kg all’anno. Uno sviluppo di un progetto messo in campo dai governi americani a partire dalla presidenza Clinton e che avrebbe avuto conseguenze anche oltre i confini degli Stati Uniti, a causa di un motivo semplice, frenare il declino della egemonia mondiale USA.

Nel 1995 l’amministrazione Clinton aveva vietato alle società americane ogni transazione che riguardasse il petrolio iraniano, ma è con l’arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca e di Hillary Clinton alla Segreteria di Stato che si venne a determinare un salto di qualità, spostando l’asse principale delle misure punitive sugli idrocarburi e sulle banche (in particolare quelle utilizzate per i pagamenti delle esportazioni petrolifere iraniane), ed estendendo le sanzioni contro l’Iran a tutto il mondo.

Disse all’epoca il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Thomas Donilon: “l’aumento della produzione energetica statunitense permette di ridurre la nostra vulnerabilità alle interruzioni di approvvigionamento nel mondo e (…) ci dà delle carte migliori per perseguire e per raggiungere i nostri obiettivi di sicurezza internazionale”.

GLN Anek Suwannaphoom
Serbatoi di GNL/Foto Anek Suwannaphoom
Il primo paese a fare le spese della rinnovata produzione energetica statunitense e dei suoi corollari in termini di “sicurezza internazionale” fu l’Iran.
Fino al 2011 le sanzioni delle amministrazioni USA contro Teheran, imposte formalmente per fermare lo sviluppo del nucleare iraniano, si erano concentrate principalmente sul settore nucleare e militare.

Un salto di qualità che sarebbe stato più difficile se gli USA non avessero potuto contare su una produzione interna di gas e petrolio di scisto, tale da ammortizzare gli effetti di una contrazione dell’offerta sui mercati internazionali.
Nel dicembre 2011 gli Stati Uniti imposero l’embargo internazionale sulle esportazioni di greggio iraniano, seguiti pedissequamente dagli europei che decretarono un mese dopo il blocco totale dell’import di petrolio e gas da Teheran.
L’embargo fu assicurato anche grazie alle sanzioni secondarie, quelle che colpiscono i soggetti non statunitensi che intrattengono relazioni economiche e commerciali con il paese bersaglio, e che possono venir puniti con l’imposizione di multe pesanti o con l’esclusione dal mercato degli USA.
E’ in questo modo, infatti, che gli Stati Uniti declinano il concetto di “indipendenza energetica” applicabile al resto del mondo.

 Le esportazioni di petrolio iraniano in due anni vennero dimezzate a causa delle sanzioni, con conseguenze sulla popolazione del paese colpito, sul prezzo internazionale del petrolio e sulle economie importatrici. Conseguenze che in parte toccarono anche agli Stati Uniti, dove l’aumento della produzione ancora non riusciva a soddisfare completamente il consumo interno.
Ma ormai questa nuova forma di aggressione era stata sdoganata, e andava solamente messa a punto dalle amministrazioni successive, che dimostrarono in maniera bipartisan una straordinaria continuità del successivo governo Trump in merito allo sviluppo della produzione interna di idrocarburi ed al suo uso come “energy weapon”.

Infatti Donald Trump spinse ulteriormente avanti le trivelle, abrogando normative di protezione ambientale e tutelando il fracking a colpi di ordini esecutivi. Sotto la sua amministrazione gli USA diventarono esportatori netti di idrocarburi, superando l’Arabia Saudita sui mercati internazionali del petroli.
Nel 2018 Trump scatenò contro l’Iran la politica della “massima pressione”, una nuova campagna punitiva che fece seguito al ritiro degli USA dall’accordo sul nucleare iraniano, rendendo in questo modo esplicito come il vero obiettivo di Washington non fosse la minaccia nucleare ma la caduta del regime degli ayatollah.
Le nuove sanzioni petrolifere, ancora più pesanti delle vecchie, contribuirono a un’altra impennata del prezzo del petrolio di cui però, questa volta, gli Stati Uniti poterono avvantaggiarsi, grazie alla loro nuova condizione di esportatori netti.
Gli USA scoprivano di poter aggiungere nuovi e lauti guadagni dalla guerra dell’energia, ed è per questo che da allora la prospettiva di scatenarla non gli fa più paura, anzi li rende audaci.

Volendo rileggere la storia a distanza di qualche anno, le sanzioni contro l’Iran assumono le forme di una prova generale, di una sperimentazione, da parte degli Stati Uniti, per nuove e inedite potenzialità offensive. Una prova generale che prelude all’uso dell’arma dell’energia nel contesto di un livello più alto dello scontro, e che oggi vediamo espandersi all'europa e verso la Russia e la Cina.

Tra i vari elementi di continuità che unisce trasversalmente le amministrazioni USA, che siano repubblicane o democratiche, è la missione a dare profittevole sbocco sui mercati internazionali alla produzione degli Stati Uniti di gas naturale.

Abbiamo già visto come Donald Trump abbia sfoderato tutte le sue innate capacità di persuasione affinché gli europei scegliessero volontariamente e liberamente fra l’alternativa di subire i suoi dazi e quella di comprare il suo gas naturale liquefatto (GNL).

Per creare un mercato del gas naturale liquefatto  non basta la “persuasione”: ci vogliono anche infrastrutture e  i capitali per costruirle. E i capitali si muovono in base a prospettive di profitto che non sempre il contesto garantisce. In questo caso l'Europa è quasi pronta, grazie al Trattato di Maastricht e al processo di liberalizzazione dei mercati energetici che ha rappresentato il naturale proseguo della distruzione dei monopoli pubblici dell’energia. Ma poi di non poco conto c'è anche che in Europa convivono due modelli diversi di mercato del gas, ed è utile l'interpretazione che ne ha dato la ormai famosa agenda Draghi:

A un estremo c'è il mercato “finanziarizzato” inglese, dove per permettere nuovi meccanismi di mercato per la definizione del prezzo del gas e la creazione di una borsa del gas naturale si è adottato un principio che si basa sul suo transito attraverso diversi hub, o nodi della rete, e in ciascuno di questi il prezzo viene definito quasi istantaneamente dalle transazioni di vendita e acquisto.
Conseguentemente, si è potuto sviluppare un mercato dei prodotti finanziari collegati al gas, inclusi i prodotti derivati, così come succede a livello mondiale per il greggio. Un approccio che è seguito nella UE da Olanda e Belgio.
All’altro estremo troviamo l’Italia, dove il mercato del gas è fortemente pianificato e su cui operano ancora pochi operatori, solamente energetici. Qui il prezzo del gas è deciso principalmente tramite gli accordi di import siglati bilateralmente dalle società con i vari paesi esportatori (per esempio l’Eni con la Gazprom russa). Inoltre, gli impianti di stoccaggio sono utilizzati solamente per esigenze fisiche e strategiche della rete e non per altre finalità speculative. In questo modo non è possibile creare una borsa del gas naturale che definisca in ogni istante il suo prezzo variabile e questo di conseguenza sottostà agli accordi internazionali e al ruolo giocato dall’Authority per l’energia elettrica e il gas (AEEG) per quel che riguarda il prezzo finale al consumatore.

Durante l’amministrazione Trump si sono moltiplicate le richieste di autorizzazione per la costruzione di nuovi terminal per l’export del GNL.
Fra queste, ventuno – ereditate da Biden – riguardano progetti ancora fermi, non solo perché in attesa della fine della procedura autorizzativa, ma perché in attesa di finanziatori e perchè l'argomento fa fibrillare la politica interna degli USA che si stà avviando per Biden al Mid term.
La scarsa propensione ad investire su questi impianti è anche motivata citando la volatilità del mercato del GNL (che mette in forse la remunerazione del capitale investito sul lungo termine); gli accordi internazionali sul clima; l’opposizione delle comunità locali; le forti oscillazioni dei prezzi sui mercati spot, capaci di vertiginosi crolli durante la pandemia e vertiginosi aumenti con la ripresa.

È fortunata coincidenza ? L’eliminazione progressiva delle forniture dalla Russia – erogate prevalentemente via gasdotto e regolate tramite accordi bilaterali di lungo periodo – che rappresentavano quasi la metà (il 45% nel 2021) delle importazioni di gas dell’Unione Europea, lascia un enorme spazio per l’espansione del modello finanziarizzato del mercato del gas.

A poco più di tre settimane dall'inizio della guerra in Ucraina il presidente Joe Biden afferma in una nota e diffusa intervista che se davvero la Russia invaderà l'Ucraina, il North Stream 2 sarà messo fuori uso dagli USA, anche se si tratta di acque tedesche, russe, danesi e conclude con “Vi assicuro, saremo in grado di farlo”. Poco dopo Victoria Nuland - che sarà ricordata come quella che dichiarò "l'Europa si fotta" - in conferenza stampa dichiara “If Russia invades Ukraine, one way or another, Nord Stream 2 will not move forward”  il cerchio si chiude la minaccia avrà luogo, i mandanti sono chiari chi ha agito è ancora da scoprire.

Va da sé che la distruzione "fisica" dell’infrastruttura energetica che legava Russia e Germania rende irreversibile il processo di uscita dalla dipendenza dal gas russo e spinge Berlino ad abbandonare una certa pigrizia nel realizzare altre infrastrutture e trovare altri fornitori, ne è ulteriore conferma la conferenza stampa congiunta tra la verde Annalena Baerbock, ministro degli esteri tedesco, che cita la direttiva europea  e Blinken costretto a dichiarare “se la Russia rinnoverà la propria aggressione all’Ucraina, sarebbe certamente difficile vedere gas fluire attraverso il gasdotto, in futuro” un affermazione prudente che trova risposta il giorno dopo nell'affermazione nella conferenza stampa del suo portavoce Ned Price: “collaboriamo con i nostri partner per adottare misure per garantire che il gasdotto non possa aggirare”, la direttiva europea appunto.

O almeno, queste erano le problematiche prima della guerra in Ucraina.

Per gli stessi motivi nella vecchia Europa erano in forse diversi progetti per la costruzione di terminal per la ricezione del GNL.
Ad esempio, nel settembre 2021, il progetto del Rostock LNG Terminal era stato annullato per “condizioni di mercato sfavorevoli”
Nel novembre 2020, una società commerciale tedesca, citando la mancanza di interesse da parte degli acquirenti, aveva annunciato che stava rivalutando i suoi piani per costruire un nuovo terminal di importazione di GNL a Wilhelmshaven.
Nel gennaio 2022 i tre terminali di importazione di GNL proposti dalla Germania, finalizzati alla ricezione del gas di scisto degli Stati Uniti, si trovavano ad affrontare ritardi a causa delle forti oscillazioni dei prezzi e, in generale, della continua incertezza sul futuro dei combustibili fossili.
Non che il mercato internazionale del GNL fosse in crisi, ma la ripresa asiatica attirava le metaniere da quella parte del mondo, con una tendenza che le previsioni davano di lungo periodo.

Dalla fine di febbraio la costruzione di questi impianti in Europa è tornata all’ordine del giorno.
RePower EU, il piano della Commissione europea per eliminare le importazioni di idrocarburi dalla Federazione Russa, ha aggiunto nuovi terminal GNL ai Progetti di priorità europea.
La Germania ha appena programmato l’ormeggio di sei rigassificatori galleggianti, che si aggiungono ai progetti per due Floating Storage and Regasification Units (FSRU) greche, per il Paldiski FSRU Terminal in Estonia, e per due rigassificatori olandesi (Gate LNG Terminal e Eemshaven FSRU). In Irlanda il terminal GNL di Shannon è in costruzione, mentre in Polonia viene allargato quello di Świnoujście.

In Italia incombono nove progetti di cui le FSRU di Piombino e Ravenna sembrerebbero i più imminenti.

Ci è voluta la guerra per sollevare le sorti del GNL americano in Europa, e per spazzare via dal tavolo ogni obiezione sulla pericolosità dei rigassificatori, sull’inquinamento che generano, sulla follia di continuare a costruire nuove dipendenze da combustibili fossili nonostante la crisi climatica.

E tutto questo nonostante le ampie raccomandazioni ed analisi della United Nations Environment Programme:

Il metano è  un potente gas serra. In un periodo di 20 anni è 80 volte più potente dell’anidride carbonica in termini di riscaldamento globale.
Il metano ha rappresentato circa il 30 per cento del riscaldamento globale dall’epoca preindustriale e sta proliferando più velocemente che in qualsiasi altro momento dall’inizio della registrazione negli anni ’80. Infatti, secondo i dati della National Oceanic and Atmospheric Administration degli Stati Uniti, anche se le emissioni di anidride carbonica sono diminuite durante i blocchi legati alla pandemia del 2020, il metano atmosferico è aumentato vertiginosamente.
L’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5°C non può essere raggiunto senza ridurre le emissioni di metano del 40-45% entro il 2030. Una riduzione di questa entità eviterebbe quasi 0,3°C del riscaldamento entro il 2045 e integrerebbe gli sforzi di mitigazione del cambiamento climatico a lungo termine.

Che si riferisce al metano incombusto, che ha fra le sue varie fonti le emissioni dei processi di estrazione, trasformazione, trasporto e distribuzione del gas naturale.
Quegli stessi processi su cui si è deciso di investire, anche grazie alla decisione della Commissione Europea di inserire il gas naturale (assieme al nucleare) nella tassonomia degli investimenti “sostenibili”, “come mezzi per facilitare la transizione verso un futuro prevalentemente basato sulle energie rinnovabili”. 

Copertina: Putin's Nemesis/Illustrazione: Nathan Williams

 

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Mai riuscito a rispondere compiutamente alle uniche importanti domande della vita: “quanto costa?”, “quanto ci guadagno?”. Quindi “so e non so perché lo faccio …” ma lo devo fare perché sono curioso. Assecondami.

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